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Etica professionale e nuovi media

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Dr. Salvatore Manai

Relazione presentata al Convegno "La psicologia e gli psicologi in rete: ipotesi e prospettive" - On line il 23-24 febbraio 2002

            In Italia, negli ultimi sette anni, il numero di risorse di Psicologia disponibili in Internet è progressivamente aumentato così come l’uso delle stesse da parte del grande pubblico. Da una prima fase, caratterizzata dalla presenza di siti perlopiù dedicati all’informazione e allo scambio tra addetti ai lavori, si è giunti attualmente a una seconda fase nella quale sembra addirittura che il nuovo strumento di comunicazione possa in parte sostituire, a livello di erogazione delle prestazioni psicologiche, il contatto diretto tra il professionista e il cliente / paziente. Tutto ciò solleva non pochi quesiti di ordine etico e deontologico sia nella prospettiva della “responsabilità degli atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze” (art. 3 del Codice Deontologico), sia dal punto di vista del rispetto di coloro che si avvalgono delle prestazioni (art. 4 dello stesso Codice). Per l’approfondimento di questi temi può essere utile la conoscenza delle esperienze compiute dai nostri colleghi statunitensi, da più tempo “impigliati” nelle maglie della grande rete.

L’American Psychological Association si è confrontata con il problema attraverso la creazione di apposite commissioni di studio e producendo documenti quali “Statement by the Ethics Committee on Services by Telephone, Teleconferencing, and Internet” del 1995, revisionato nel 1997 e “dotComSense: Common Sense Ways to Protect Your Privacy and Assess Online Mental Health Information”, vera e propria guida per l’utente in rete. Esiste inoltre a una serie di articoli apparsi sull’”Apa Monitor” che analizzano il problema da vari punti di vista.

Nell’ultima stesura del Codice Deontologico degli Psicologi americani attualmente in discussione, ” Ethics Code Draft 6 “, il campo di applicabilità delle norme relative al ruolo scientifico, educativo e professionale dello Psicologo si estende esplicitamente al contesto di Internet. Viene inoltre previsto, nel caso di comunicazioni effettuate con tale mezzo, che lo Psicologo osservi i seguenti comportamenti:

(1)   le dichiarazioni devono essere basate sulla conoscenza professionale, sull’addestramento, sull’esperienza in accordo con la letteratura e la pratica psicologica;

(2)   le dichiarazioni devono comunque essere congruenti con il Codice Deontologico;

(3)   le dichiarazioni non devono indicare l’esistenza di un rapporto professionale con il destinatario.

L’insieme delle preoccupazioni di cui l’Apa si è fatta carico per la tutela dell’utenza

che entra in rapporto con siti Internet dedicati alla Psicologia corrisponde al complesso di problematiche che anche gli Psicologi italiani dibattono da tempo parallelamente al loro impegno in rete. In particolare le argomentazioni riguardano:

  • problemi relativi alla “privacy”
  • informazioni sull’identità di chi finanzia le risorse
  • aggiornamento frequente dei testi pubblicati
  • dichiarazione delle fonti delle informazioni diffuse
  • informazioni sulla formazione e sull’esperienza professionale degli autori.

Per l’Apa le risorse in Internet, pur costituendosi come ottime fonti di informazione sulla Psicologia, non sono da ritenersi sostitutive dell’aiuto professionale. A mio avviso questo punto ha un carattere fondamentale e da condividere sia sotto il profilo scientifico, sia sotto la prospettiva clinica e di conseguenza, per quanto ci riguarda, anche dal punto di vista etico.

Il nostro Codice Deontologico dovrà prendere in considerazione prima o poi l’uso professionale della rete Internet. La mia opinione è che quest’ultima, in ogni caso, dovrà essere considerata esclusivamente come un ulteriore contesto nel quale si esprime la nostra specifica professionalità. Un professionista deontologicamente rcorretto resterà tale nel suo studio come davanti alle telecamere, al telefono come alla tastiera di un computer. I riferimenti della sua condotta professionale non possono prescindere o comunque collocarsi all’esterno di quello spazio condiviso che costituisce la nostra professione e la nostra deontologia.

Alcuni siti di Psicologia italiani offrono ottimi esempi delle potenzialità offerte dalla rete. Vi si possono trovare biblioteche on line con testi specialistici o a carattere divulgativo, servizi di consulenza volti a favorire la conoscenza e la diffusione della cultura psicologica, forum di discussione, spazi per il confronto professionale, notiziari ecc.. Le risorse destinate al grande pubblico esplicitano quasi sempre i limiti impliciti all’uso del mezzo e rimandano comunque al contatto individuale con professionisti del settore.

Il livello di problematicità del discorso aumenta se prendiamo in considerazione la comparsa in Internet di risorse che si avvicinano al cuore stesso delle attività cliniche dello psicologo: la diagnosi e la terapia psicologica. Il tema della psicoterapia on line è a mio avviso ancora tutto da esplorare. Quando se ne discute, non è chiaro ad esempio se ci si riferisce a un nuovo contesto nel quale adattare le tradizionali psicoterapie o se la pretesa è quella di fondare un nuovo approccio che comunque manca allo stato attuale di una teoria di riferimento. In entrambi i casi, e proprio per garantire il pieno rispetto dell’art. 5 del nostro Codice Deontologico, sono a mio avviso necessari anni di studio e di ricerca prima di ogni ipotesi di applicazione pratica della comunicazione telematica in campo strettamente clinico. L’entusiasmo per il mezzo di cui oggi disponiamo non deve farci dimenticare il tempo e la fatica che da sempre ha caratterizzato ogni progresso nell’ambito della ricerca psicologica. Il cyberspazio ha la caratteristica di produrre “entità virtuali”. Spigolando in rete è possibile ad esempio cogliere i germogli di quello che si vorrebbe chiamare lo “web psychologist”, in alcuni casi descritto come una nuova figura professionale con pretesa di identità propria. Il desiderio di colonizzare questi apparenti nuovi campi di intervento psicologico talvolta sembra anticipare ogni riflessione di carattere teorico e scientifico. Non commettiamo questo errore: sarebbe un errore scientifico, un errore clinico, e di conseguenza un “orrore” deontologico.

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