Articolo 30 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.30 (compenso professionale), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 30
Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.
Questo articolo presidia e salvaguarda la transazione clinica nell’occuparsi di quella economica.
Non è un paradosso: la disciplina della tariffa è a disciplina e contenimento di tutte le altre cose in gioco.
Perché la relazione psicologo-paziente/cliente si svolge in un gioco intersoggettuale, attorno all’intangibilità delle emozioni e dei sentimenti.
Dunque, è facile ai disordini, ai metabolismi irregolari, alle forti e telluriche esposizioni.
Ne abbiamo già parlato quando la tariffa doveva vincolare l’adesione terapeutica, ‘dialettizzarsi’ con le difese e le resistenze azionate dai passaggi clinici più tosti.
Ne abbiamo riparlato quando la tariffa doveva disciplinare e contenere equivoci riguardo alla funzione clinica, sancendone simbolicamente e concretamente il valore.
Quindi la tariffa è sempre stata ricca di valenze, significati, funzioni.
Questo articolo ne introduce di ulteriori.
In particolare in ambito strettamente clinico, il rapporto del paziente con il suo psicologo è sempre molto ‘sentito’, intenso e profondo.
Allo psicologo, egli affida quanto ha di più prezioso, il proprio equilibrio psicologico, spesso le falde più segrete della propria anima.
È così importante questa relazione che il paziente, anche rinforzato da investimenti transferali, tende a ritenerla impagabile.
Avverte che non è mai pagata e ripagata abbastanza.
È un soggetto ferito che si affida, fuori casa, in una posizione relazionale non paritaria e mosso e abitato da sentimenti e suggestioni.
E questo soggetto, in tali condizioni e posizioni, ritiene che il suo psicologo sia impagabile. Gli darebbe sempre di più per ripagarlo, per conquistarlo, per essere ‘speciale’ ai suoi occhi, condizione che sente preliminare all’apertura, all’accesso convinto, alla piena adesione terapeutica, ad un totale reale affidamento.
Sarebbe troppo facile, per uno psicologo che lo volesse, approfittarne. Essere esposto a questa tentazione e cavarne altre transazioni, altro reddito e favori, utilizzare questa circostanza, sfruttare le occasioni.
Ecco che allora, per tutti questi motivi, l’art. 30 C.D. deve ricordargli che, Nell’esercizio della sua professione allo psicologo è vietata qualsiasi forma di compenso che non costituisca il corrispettivo di prestazioni professionali.
Poiché si tratta di unica prestazione, con tariffa prevista e concordata all’inizio, nell’ambito del Consenso informato e dell’Obbligo di Preventivo, proprio per non esporre la relazione ai metabolismi processuali, agli andamenti clinici, a fattori potenzialmente interferenti ecc.
Un modo anche per chiarire che si è lì solo per quello, solo quello si fa e solo quello si retribuisce.
Ai tempi dell’estensione del Codice, un po’ dispiaceva essere troppo trancianti e inibire il dono semplice, un pensierino termico, una torta di mele fatta in casa o un frutto della terra o il panettone di Natale.
Preoccupava la possibilità che la relazione fosse contaminata da un rifiuto elaborabile impropriamente dal paziente, come rigetto, ostilità, distacco.
Per questo, si ritenne che chiarire questi aspetti all’inizio, intendendoli come regola universale del setting, potesse proteggere il paziente e la relazione professionale da queste contaminanti elaborazioni improprie.
Per un attimo si pensò anche di far salvi i doni fatti con le proprie mani, prima di ricordare che anche l’orafo fa con le proprie mani, oggetti anche di incommensurabile valore.
È materia, dunque, di complessa codificazione.
Secondo chi scrive, comunque, lo psicologo dovrebbe potere essere dotato di ogni strumento valutativo per tutelare la relazione da regali contaminativi.
Fuori dal corrispettivo, non è possibile che non sappia ‘sentire’ la distinzione tra un dono termico, affettivamente coerente e armonico con la relazione e un ‘dare Qualcosa’ che invece fa saltare completamente il range del corrispettivo e il banco della relazione stessa.
Anche una torta di mele o il panettone a Natale.
E, in ogni caso, rifiutando cortesemente oggetti di grande valore, richiamandosi a quanto concordato e pattuito all’inizio.
E se non fosse in grado di valutare o comunque compiere una distinzione così semplice tra atto e atto a fronte di una differenza così smaccata tra significato e significato, tale incapacità sarebbe senz’altro, e molto facilmente, valutata nelle sedi competenti, sia in termini di competenza professionale, sia in termini di vera e propria volontà illecita.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 31. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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