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Articolo 37 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato

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Prosegue su Psiconline.it, con il commento all'art.37 (competenze e limiti), il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani

Articolo 37 il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentatoArticolo 37

Lo psicologo accetta il mandato professionale esclusivamente nei limiti delle proprie competenze.

Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.

Questo articolo è molto più ‘delicato’ di quanto possa sembrare.

E convoca molte misure di appropriatezza e competenza dello psicologo.

Lo espone molto, dal punto di vista epistemologico, alla complessità della definizione del proprio mandato e della definizione delle proprie competenze.

Il mandato dello psicologo non sempre ha infatti una misura chiara ed ‘espressa’  direttamente, tangibile e formale come potrebbe essere quello del medico.

Lo psicologo non ha una ‘normalità’ e un discostamento dalla normalità che deve essere ridotto; non ha da perseguire una restitutio ad integrum.

Egli non si muove in un contesto oggettivato, ma in una relazione con una soggettività ogni volta irripetibile, di persona, di contesto o anche solo di momento.

Il mandato non è quasi mai detto esplicitamente e, quando lo è, va prima correttamente letto ed interpretato dato che sovente si rappresenta in una forma fantasmatica che man mano prende corpo davanti allo sguardo clinico.

E si chiarisce e approfondisce; o anche si modifica nel corso del processo terapeutico.

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Quindi valutare il mandato, la sua coerenza con le proprie competenze e la possibilità di non accettarlo può essere meno semplice per lo psicologo che per altri professionisti.

Può esserlo, ma non è detto che lo sia sempre.

Ci sono ovviamente tanti contesti psicologici professionali che sono meno ‘clinici’, dove si può misurare nitidamente l’attinenza di una richiesta alla propria formazione e alle proprie corde professionali.

Contesti in cui la domanda è esplicata o, comunque, esplicabile in modo preciso all’interno di un Contratto formale.

Basti citare il contesto peritale, dove il perimetro del mandato è sostanzialmente disegnato da norme di legge e informato al quesito del Giudice; o, ancora, ambiti professionali quali quello della psicologia del lavoro, dello sport

In questi casi è molto più semplice assolvere al primo comma di questo articolo.

Lo stesso discorso può svolgersi riguardo alla definizione delle competenze: in clinica, se adeguatamente padroneggiate dallo psicologo, valgono molto anche quelle meno formalizzate e formalizzabili.

Si pensi all’empatia, agli stessi tratti personologici del professionista, alla sua capacità di calibrarsi sulle soggettività, altrui ma anche proprie, alla maggiore o minore naturale predisposizione di ‘accedere’ e di ‘fare succedere la relazione’, al possesso esperienziale dei registri e dei paradigmi interiori su cui ‘sentire’ i disagi, le difficoltà, le disfunzionalità e le sofferenze dell’Altro.

Questi aspetti fanno competenza e valore clinico non meno di quelli mediati dai titoli formali, che pure sono imprescindibili e che più agevolmente possono essere fatti rientrare nella previsione di questo primo comma.

Così come difficilmente misurabile, ma quanto mai determinante può rivelarsi la capacità del professionista di ‘sentire’ la tranquillità e la sostenibilità del mandato da assumere. Poiché uno psicologo non può non essere psicologico anche con se stesso e nessun mandato può essere svolto bene se non è abitato con agio.

Questo, solo per evocare quel qualcosa di più complesso che può riguardare la figura professionale dello psicologo.

In ogni caso, preme ribadirlo, vanno sempre considerati anche quei contesti ‘meno clinici’ dove sono più definibili i mandati e più valutabili le competenze; dove i titoli curriculari consentono con molto agio ed immediatezza allo psicologo di includere o di escludere alcune richieste di mercato dal proprio target professionale.

Qualora l’interesse del committente e/o del destinatario della prestazione richieda il ricorso ad altre specifiche competenze, lo psicologo propone la consulenza ovvero l’invio ad altro collega o ad altro professionista.

Qualora – dopo tutte le valutazioni di cui sopra, riguardo a mandato e competenze - si dovesse optare per un invio ad altro psicologo o ad altro professionista, riteniamo che tale invio non debba mai consistere in una banale indicazione di nominativo, ma debba a sua volta tradursi in un processo competente.

L’invio deve essere un processo che qualifica la professione psicologica, un processo che si deve ‘distinguere’ per serietà, calma ed accuratezza.

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Non deve apparire allopaticamente informato di quella sufficienza -se non peggio- di quando ‘tanto non si tratta (o non si tratta più) di un mio paziente e posso approssimare’.

Anche quando non si tratta  di una dimensione o di un contesto clinici, l’invio –pur non essendo un processo parimenti delicato e complesso - deve essere abbastanza informato dai nuclei di qualità quali, a titolo di esempio, sapere comunque come incontrare ed ascoltare ‘la domanda’, focalizzare e ‘costruire’ insieme al cliente l’invio, individuare e anche eventualmente contattare l’altro collega o l’altro professionista, se autorizzati, per mediare e presentare adeguatamente il caso.

 

Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 38. Non mancate.

In questa pagina trovate tutti i commenti finora pubblicati!

(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)

 

 

 


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Tags: psicologia codice deontologico catello parmentola elena leardini Codice Deontologico degli Psicologi Italiani articolo 37

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