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Gender Equality

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In questo testo affronteremo, in piccola parte, la dimensione relativamente alle discriminazioni di genere e come esse si sviluppano nella cultura, allo scopo di aumentare la nostra consapevolezza.

di Fabio Gardelli

gender equality

Esistere alla pari degli altri, non essere considerati individui attraverso distinzioni sottrattive, è l’unico modo per cui un individuo può sentirsi libero di vivere. Allo stesso tempo far parte di una categoria definita su un costrutto additivo, le cui tessere del mosaico che lo compongono sono presuntuosamente le migliori, ci toglie la possibilità di comprendere quanto veramente meritiamo e possiamo esistere nelle molteplici sfumature e sfide di un mondo relazionale complesso.

La “scelta consapevole” è il centro del discorso in quanto molte delle dinamiche relazionali che “abitiamo” sono state costruite culturalmente e sono perlopiù non consapevoli, inconsce utilizzando un termine caro alla psicoanalisi.

Il linguaggio che usiamo, gli usi, i costumi, i modi di dire, le invocazioni scurrili, il mondo del lavoro, la cultura più in generale ha molteplici impliciti che hanno origini storiche e sono frutto delle politiche e dei costumi del nostro passato. Attraverso quello di cui facciamo esperienza filtrano concetti, valori e convinzioni che determinano il nostro agire e i nostri pregiudizi/stereotipi ed è impossibile esserne scevri, senza esserne influenzati.

In questo testo affronteremo, in piccola parte, la dimensione relativamente le discriminazioni di genere e come esse si sviluppano nella cultura allo scopo di aumentare la nostra consapevolezza. Essere sempre più consapevoli rappresenta la strada più efficace per compiere scelte coerenti con noi stessi evitando generalizzazioni, deformazioni e cancellazioni.

Lo scopo ultimo è quello di poter fare esperienze che possano condurci in luoghi relazionali evolutivamente stimolanti.

La replicazione delle discriminazioni di genere negli anni (il discorso vale per ogni forma di discriminazione) è data dalla sottostima del problema in sé e dalle deformazioni cognitive sul tema discriminazione: a volte anche ad opera di media e politica. Ognuno di noi nel nostro piccolo promuove varie forme di discriminazione o se va bene agisce, in senso lato, come individuo passivo (ricordiamo il tema dei complici passivi nel bullismo o nei fenomeni di violenza). Molte persone negano che la discriminazione di genere rappresenti un problema e permettono che continui ad esistere portando avanti dicerie prive di fondamento: ad esempio traslando su altra argomentazione tutte le fake news sul covid che da professionisti siamo in dovere di dirimere.

Rispetto a questo problema la soluzione per fare ordine nel caos informativo ci viene offerta dalla scienza, quella statistica specificatamente:

Dati Europei: le donne guadagnano in media il 16% in meno rispetto agli uomini e sono sovra rappresentate in settori di studio e lavoro legati tipicamente a ruoli femminili. Il 33% delle donne ha subito violenze fisiche o sessuali. Le donne sono meno rappresentate in settori quali: politica, scienza e ricerca. Solo il 7,7% degli amministratori delegati sono donne e il 7,5% dei presidenti dei consigli di amministrazione (Ursula von der Leyen è la prima donna presidente della Commissione).

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Questi sono solo alcuni dei dati a dimostrazione di un “gender gap”. Molte delle discriminazioni e disuguaglianze in atto sono di difficile rilevazione e riguardano prevalentemente la sfera di relazione. Soltanto successivamente ad un’attenta analisi dei dati possiamo promuovere le pari opportunità fra uomini e donne attraverso cambiamenti nelle politiche di assunzione o nella dimensione culturale.

L’argomentazione se trattata superficialmente rischia di essere banalizzata e di non offrire spunti di cambiamento e la misura di quanto il tema del gender Equality impatti nella vita di molte persone, fra cui non solo le donne, la comunità LGBT tutta (in particolare persone omosessuali, Transgender) ma anche gli uomini eterosessuali cisgender.

La semantica, il significato di alcuni termini di interesse sono un punto di inizio per limitare i processi cognitivi di distorsione:

  • Sessismo: inteso come discriminazione sull’appartenenza di genere permea la nostra società in ogni sfumatura. Il sessismo è la tendenza a valutare la capacità o l’attività delle persone in base al sesso ovvero ad attuare una discriminazione sessuale. Il paradosso più grande è che pochi di noi sarebbero così “responsabilmente consapevoli” nel definire sé stessi sessisti. Fra i molti esempi riconducibili al sessismo ricordiamo la convinzione culturale di alcune capacità sovra rappresentate nel mondo femminile: cura, irrazionalità, affettività, ascolto, igiene della casa e ancora in parte capacità culinaria (i migliori chef sono considerati uomini mentre le donne hanno una rappresentazione relativa al nutrire la famiglia). Al contrario anche gli uomini eterosessuali cisgender hanno una sovra rappresentazione rispetto alle capacità: razionalità, precisione e resistenza in generale capacità logico matematiche. Questi luoghi comuni rappresentano stereotipi di genere che hanno un impatto nella valutazione e nella scelta delle competenze in ambito lavorativo e sociale.
  • Patriarcato: rappresenta l’organizzazione famigliare (contrapposta al matriarcato) in cui i figli entrano a far parte del gruppo a cui appartiene il padre, da cui prendono il nome e i diritti che essi a loro volta trasmettono ai discendenti nella linea maschile. Non è tanto la definizione importante ma il fatto di avvertirlo come sistema culturale imperante. È proprio la sua caratteristica sistemica a renderlo così invisibile e diffuso, tanto da permeare anche nella condotta sociale di moltissime donne. Il patriarcato è un fenomeno culturale che estremizza il binarismo di genere per il quale sarebbero "naturali” solo gli uomini e le donne eterosessuali. Il P. “costruisce” ruoli sociali adatti, solo e soltanto a questi due figuranti mentre sappiamo bene che esistono molte altre sfumature di identità di genere o orientamento sessuale. La costruzione patriarcale ha come idea la subordinazione delle donne, meno dotate sempre per natura, a compiti secondari o subordinati. La cultura permea anche della negazione dello stesso patriarcato tacciato come invenzione allegorica femminista. Il patriarcato impatta moltissimo anche nella cultura omosessuale e transessuale, definendone in modo rigido i ruoli e traslandone la visione in senso peggiorativo: della serie siete meno delle donne stesse (molte evidenze scientifiche relative al “minority stress” fanno emergere che tale condizione è direttamente proporzionale all’entità della minoranza e a quanto poco è rappresentata socialmente).
  • Maschilismo: l’idea che l’uomo sia superiore alla donna e questo spesso coincide anche attraverso la linguistica con gli “attributi della virilità”: come se servissero testicoli e pene per essere coraggiosi e temperanti. Il maschilismo non mira all’equità piuttosto ad amplificare la disuguaglianza parimenti al patriarcato. Gli effetti anche in questo caso limitano molto le scelte individuali per ogni genere, orientamento sessuale o identità di genere.
  • Femminismo: non è il contrario del maschilismo bensì è un movimento culturale, portato avanti in modo predominante da donne, omosessuali e transessuali (le minoranze culturali per l’appunto), che vuole parità ed equità nei rapporti civili, economici, giuridici, politici e sociali rispetto all’uomo.
  • Identità non binarie: identità di genere che non si riconoscono completamente nel genere femminile o maschile (meno dell’1% della popolazione).

Come raggiungere o sviluppare l’equità di genere?

Tale argomento richiederebbe una trattazione estremamente più ampia e articolata.

Qui di seguito cercherò di sintetizzare la questione, a costo di peccare di superficialità, in due macro opzioni entrambe con punti di forza e debolezza:

  1. Discriminazione positiva: consiste nel mettere in atto misure compensative rispetto alle discriminazioni o esclusioni subite. Portando un esempio inerente i mestieri si può facilitare l’accesso a determinate cariche o posizioni occupazionali per il gruppo discriminato riservandone dei posti. Si cerca per un tempo relativamente lungo di garantire l’accesso a beni, risorse, cariche etc. che prima risultavano difficili da raggiungere in modo indipendente e autonomo. L’obiettivo di questa opzione è quella di ristabilire “l’uguaglianza” creando una sorta di giustizia generale.

Il punto di debolezza di questa opzione è rappresentato dal fatto che non garantisce l’assenza di discriminazioni, al contrario spesso la produce in altri ambiti soprattutto relazionali dato che l’acquisizione dell’equità viene vissuta a livello culturale come una “regalia” totalmente indipendente dalle capacità individuali. In taluni casi questo genere di politica è discriminatorio nei confronti degli uomini perché non mette sullo stesso terreno di gioco le persone: come dire che una donna essendo meno brava di un uomo deve avere un vantaggio, appunto una regalia.

  1. Antidiscriminazione: il tentativo di trovare un sistema di riconoscimento di qualità, capacità, assegnazione di beni, cariche e posizioni che sia imparziale. Consiste nel sostituire o arginare le prassi che discriminano le donne con altre procedure che ne garantiscono equità di accesso per tutti, senza per questo creare dei favoritismi e altre disuguaglianze a livello sociale. Lo svantaggio di questa opzione è che i cambiamenti siffatti necessitano di molto più tempo per essere ottenuti ma sono studiati in una dimensione di durata illimitata e stabile dato che vanno a modificare il sistema dalla base.

Queste due macrocategorie sono oggetto di dibattito politico e producono molte controversie come, ad esempio, la ormai nota controversia linguistica sull’uso dei plurali e quantificatori nella lingua italiana: tutti e tutte.

L’esempio annoso e dibattuto riguarda l’espressione “tutti” che è sempre stato utilizzato in riferimento a gruppi di persone e spesso viene oggi sostituita da alcune varianti: tutti e tutte, tutt*, tuttu e tuttə (schwa simbolo alfabeto fonetico internazionale).

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Il dibattito nasce dal fatto che in lingua italiana non esiste un’espressione che si riferisca ad una moltitudine mista: un’espressione neutra. Se in un gruppo di persone a cui ci riferiamo esiste anche solo una persona che non si riconosce nel binarismo di genere utilizzando l’espressione “tutti” stiamo mancando di riconoscimento per la sua identità ed in questo caso non funziona nemmeno più l’espressione “tutti e tutte” che rappresenta semanticamente anche una ripetizione. Invece l’uso della “schwa” rappresenta un esperimento temporaneo in attesa di espressioni più stabili come spiega la linguista Vera Gheno, la quale ne mostra anche alcuni punti di fragilità di siffatta espressione:

ogni espressione attualmente esistente in lingua italiana è ricca di controversie e qualunque scelta linguistica rappresenta un problema per l’una o l’altra categoria oppure rappresenta un’impronunciabilità o difficolta fonetica (ad. Esempio anche l’esperimento della schwa può discriminare dislessici sia nella lettura che nella pronuncia corretta e/o confondere molte persone come la stessa Gheno sottolinea).

In conclusione, cosa possiamo fare per dirimere le questioni inerenti l’equità di genere e agire contro le discriminazioni di genere? La risposta è nel creare cultura e nel lavorare in una trasformazione linguistica, culturale e sociale che abbia dei paradigmi stabili nel tempo.

Le sperimentazioni e le riflessioni, come la presente, sono dei modi, dei tentativi per andare verso una convivenza delle differenze.

 

Webligrafia/Biblografia essenziale:

 

a cura del Dott. Fabio Gardelli: psicologo, psicoterapeuta,
fondatore del C.A.I.G. (centro Abbruzzese Identità di Genere),
consulente in progetti di valenza sociale e psicologica

 

 

 

 

 

 

 


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Tags: identità di genere Gender Equality parità di genere

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