Articolo 38 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato
Con il commento all'art.38 (decoro e dignità professionale) prosegue, su Psiconline.it, il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani
Articolo 38
Nell’esercizio della propria attività professionale e nelle circostanze in cui rappresenta pubblicamente la professione a qualsiasi titolo, lo psicologo è tenuto ad uniformare la propria condotta ai principi del decoro e della dignità professionale.
Questo articolo incrocia l’etica attiva quando, in modo diretto e indiretto, va a promuovere una sagomatura ‘decorosa’ e ‘dignitosa’ della figura professionale dello psicologo.
Non sfugge a chi scrive quanto i concetti di ‘decoro e di 'dignità’ siano suscettibili di mutamenti nel tempo come nello spazio e di quanto tali mutamenti possano essere talora anche sostanziali.
Il Diritto cerca costantemente di adeguarvisi attraverso lo strumento delle pronunce giudiziali; mentre la norma generale ed astratta non può che limitarsi ad una previsione di principio, è il Giudice che, nell’interpretare la norma per applicarla al caso concreto, procede ad una valutazione della maggiore o minore decorosità di un comportamento.
Ciò premesso e pur tenuto conto del mutare del costume e del sentire sociale, rimane tuttavia essenziale un affermarsi della professione anche come ‘conveniente’ non solo (e non necessariamente) in termini economici.
Circostanza che non può che ‘fare bene’, oltre al singolo psicologo, anche alla comunità professionale e alla società che ha bisogno di psicologi e di psicologia, di vedere ‘incoraggiata’ la propria domanda in tal senso.
L’articolo 38 svolge la funzione di integrare e coprire tutto quello che eventualmente resta fuori da tutti quanti gli altri articoli.
Quando lo psicologo non trova risposte, indicazioni o orientamenti su delle specifiche fattispecie professionali, può riferirsi alle giuste misure di decoro e dignità così come sostanzialmente condivise dalla comunità professionale e si ritroverà comunque a fare bene, molto vicino anche ad appropriati paradigmi sia tecnici che deontologici.
Davvero, un metaforico ‘bon ton’ riguardo al decoro e alla dignità va già a descrivere di fatto buona parte di quella corretta profilassi e di quella psicologicità che sempre deve informare le relazioni di uno psicologo.
Sia nell’esercizio professionale che nelle esposizioni pubbliche, è difficile immaginare una bella misura di qualità professionale che non sia mediata o ‘vestita’ bene, dal punto di vista (della qualità) dell’immagine.
Un cattivo presentarsi, un’immagine sgualcita ostruiscono anche i contenuti.
E darebbe da pensare uno psicologo, specialista della calibratura sulle soggettività, sull’Altro, sulle misure del Mondo, che non sappia sentire o capire queste misure, che non sappia negoziare bilanciamenti armonici in tal senso.
Descriverebbe qualcosa di irrisolto nella propria identificazione professionale: altrimenti, perché uno psicologo dovrebbe mancare di decoro e dignità ‘a se stesso’?
Perché dovrebbe mancarsi di rispetto, mancarsi di amor proprio?
Non si fa lo psicologo, ma lo si è: perché si contrae nel tempo un modulazione di sensibilità psicologica nelle letture e nelle interpretazioni delle Cose, nella funzionalità degli approcci e degli atteggiamenti relazionali.
Sembrerebbe pertanto difficile che uno psicologo possa dimenticare se stesso e i suoi modi psicologici, non tenerci alla propria cifra identitaria e alla propria immagine, nel passare da un contesto all’altro.
Qualora accadesse, verrebbe da chiedersi se ha capito fino in fondo ‘la cosa di cui si tratta’, riguardo alla propria professione, ai veri Oggetti e Soggetti della propria professione.
Se non si fa lo psicologo ma lo si è, difatti –riguardo a quello che stiamo trattando- non esistono diversi contesti, poiché ‘non posso mai smettere me stesso’.
Posso smettere l’esercizio professionale nei miei contesti di vita ma ‘non riesco’ a smettere di essere psicologico, a staccarmi dai miei paradigmi fino al punto di essere ammalante, di generare malattia nel mondo.
E questa quota di ‘psicologicità che accompagna’ in ogni contesto, ‘si fa’ vigilanza e garanzia riguardo a tutti i territori non tecnici proprio su tutte queste ‘altre’ misure comunque altrettanto professionali, l’immagine pubblica, il decoro, la dignità.
Ogni singolo psicologo, sia questi più o meno noto, più o meno ‘in vista', rappresenta implicitamente tutta una Comunità e una professione riconosciuta e ‘ordinata’ dallo Stato: negli Ambulatori e nei Servizi, nei Contesti interprofessionali, nelle Riunioni e nei Convegni, in ogni Comunicazione pubblica, nella pubblicistica ecc.
Sentire questa amorevolezza, questo rispetto e questa responsabilità nei confronti della Comunità che rappresentiamo ci orienterà sempre ad una sua rappresentazione decorosa e dignitosa poiché sentiamo contestualmente una forma di militanza nel promuoverne una bella immagine, che la rafforzi nel mondo e nel Mercato.
Il buono che soggettivamente mediamo verso la Comunità professionale, il buono che viaggia sulle nostre gambe, ricadrà e si ridistribuirà comunque poi dalla Comunità ad ogni singolo professionista che beneficerà della buona immagine della propria figura professionale.
Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 39. Non mancate.
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(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)
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