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Articolo 41 - il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentato

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Con il commento all'art.41 (Osservatorio Permanente) prosegue, su Psiconline.it, il lavoro a cura di Catello Parmentola e di Elena Leardini che settimana dopo settimana spiega ed approfondisce gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani

Articolo 41 il Codice Deontologico degli Psicologi Italiani commentatoArticolo 41

È istituito presso la ‘Commissione Deontologia’ dell’Ordine degli psicologi l'Osservatorio permanente sul Codice Deontologico, regolamentato con apposito atto del Consiglio Nazionale dell’Ordine, con il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico.

Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56.

Nonostante la funzione essenziale di questo articolo deontologico, esso è tuttora quello - inspiegabilmente - più disatteso.

‘Inspiegabilmente’, lo si vuole qui ribadire, per due ordini di motivi: innanzitutto, ogni norma deontologica va a formare il tessuto stesso della professione e una qualsiasi trama giuridica, per quanto accurata, acquista pieno significato solo se intrecciata ad un ordito composto da regole metodologiche costantemente aggiornate e principi etici attualizzati.

Pertanto, la raccolta sistematica delle pronunce disciplinari, che della norma deontologica sono la prima (e financo unica) espressione di applicazione pratica a casi concreti, è – non si esita qui ad affermarlo – attività istituzionale di prioritaria e vitale importanza.

Il secondo motivo dell’assoluta impossibilità di spiegare come sia potuto accadere che l’art. 41 C.D. restasse finora ‘lettera morta’ è che il Soggetto che sarebbe tenuto a rispettarlo è il Consiglio Nazionale dell’Ordine.

I doveri che questo articolo impone sono molteplici.

Innanzitutto, l’Osservatorio dovrebbe essere un Organo permanente: i vari Consigli Nazionali succedutisi nel tempo avrebbero dovuto solo rinnovarne la composizione, in base anche alle indicazioni -ad ogni nuova consiliatura- fornite dagli Ordini regionali.

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Invece (prima deroga), ci sono state lunghe latenze e spesso l’Osservatorio è stato ricostituito ‘di tanto in tanto’ solo in base a soggettivi metabolismi politici o psicologici (la contingente ansia per il Decreto Bersani, la contingente ansia per il Decreto Monti…).

Inoltre, è l’Osservatorio che, in base a questo Articolo 41, ha il compito di raccogliere la giurisprudenza in materia deontologica dei Consigli regionali e provinciali dell’Ordine e ogni altro materiale utile a formulare eventuali proposte della Commissione al Consiglio Nazionale dell’Ordine, anche ai fini della revisione periodica del Codice Deontologico.

Quindi è l’Osservatorio che, raccolta la giurisprudenza e ogni altro materiale utile, deve (dovrebbe) mettere nelle condizioni la Commissione Deontologia di indicare al CNOP le revisioni da prevedere.

Invece (seconda deroga), nel tempo si è istituita una prassi, che ha visto essere il CNOP stesso farsi promotore, in modo diretto o attraverso la Commissione Deontologia, dei mandati revisionali.

Un percorso istituzionale esattamente opposto rispetto a quello indicato dall’articolo 41 del Codice Deontologico.

Non si ritiene possa essere liquidata, questa, come una deroga da poco in quanto, il CNOP non è organo strutturato in modo tale da poter essere depositario di una competenza tecnica sistematica in fatto di Deontologia; pertanto, il rischio insito in tale prassi di sbagliare Oggetti, Tempi e Modi della revisione del Codice è altissimo.

L’articolo 41 descrive –con riferimento alla tipologia dei mandati- un Osservatorio come stabile ed ‘esperto’ (per potere, ad esempio, valutare con cognizione tecnica la giurisprudenza).

Ciononostante, in alcuni casi, si è assistito ad una prevalenza, nella formazione della composizione dell’Osservatorio, dei criteri politici rispetto ai requisiti tecnici, nonostante l’Osservatorio sia un Organo esercitante una funzione altamente specialistica su Oggetti estremamente delicati e complessi.

Non risulta nei tempi recenti alcun vaglio ‘curriculare’ dei componenti l’Osservatorio, alcun vaglio del grado di qualificazione formale nella materia, alcun vaglio di competenza e di pregresse esperienze ‘settoriali’.

Ricordiamo, anche se solo di sfuggita, che c’è stato un tempo in cui l’Osservatorio era composto da esperti del calibro di Erminio Gius, Guglielmo Gulotta, Eugenio Calvi…

Tale revisione si atterrà alle modalità previste dalla Legge 18 febbraio 1989, n. 56.

Le modalità previste (il passaggio referendario ecc.), da un lato hanno molto ‘sacralizzato’ il testo del Codice e l’hanno protetto da troppe facile ed estemporanee modifiche, dall’altro non hanno reso maneggevole l’adeguamento ai cambiamenti normativi che intervenivano.

Dal punto di vista organizzativo, non potendo prevedere passaggi referendari ogni qual volta si rendesse necessaria una modifica del Codice, si è preferito raggruppare le revisioni e sottoporle ‘assieme’ al vaglio referendario.

Questo però ha conservato nel Codice per tempi troppo lunghi, e a rischio di generare confusione, articoli superati dalle Norme generali.

Occorrerebbe, in casi molto speciali, potere prevedere una possibilità di revisione in deroga alla Modalità Primaria.

Oppure, e qui torniamo a quanto e come sarebbe importante il rispetto del primo comma, sarebbe importante la formazione di un corpus di decisioni disciplinari continuamente aggiornato, che – sebbene non vincolante – possa offrire idonee garanzie di conoscibilità, applicabilità, attualità e, soprattutto, equità.

Ciò detto, dal punto di vista formale e della storia, dobbiamo ora considerare che ritenere il Codice o parti di esso o specifici articoli inadeguati, da eliminare, cambiare radicalmente o da aggiornare, è la cosa più facile ed ovvia del mondo.

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Sembra quasi divenuto un intercalare, una sorta di tic verbale in premessa ad ogni discorso deontologico: ‘il Codice è sbagliato, il Codice non va più bene’.

O, divenuta anche, l’ambizione di chiunque sieda nei luoghi istituzionali preposti a trattare la materia deontologica.

Ma ogni volta che ci si prova, a mettervi mano, ci si rende conto di quanto sia complesso vagliare contestualmente coerenza giuridica, coerenza clinica, coerenza epistemologica, struttura formale, equilibri di fattispecie ecc. e, quasi sempre si scopre che l’eventuale rimedio è molto più fallace del male, che le brillanti intuizioni non reggono alla prova dei fatti, creando più problemi di quelli che intenderebbero risolvere.

Così, su quasi ogni modifica, si è stati costretti a tornare indietro.

Perché una soggettività sensibilità etica può anche sollecitare generica fascinazione nei confronti della materia deontologica e la voglia di parteciparla, ma non fa il deontologo.

La deontologia è materia complessissima che incrocia tante competenze diverse e specialistiche: bisogna sì conoscere le leggi a menadito, ma anche e soprattutto il senso della professione, i modelli clinici di riferimento, come si strutturano gli articolati giuridico-formali, il linguaggio da usare in tale ambito.

Ed è proprio perché fondato su queste basi e su questi livelli che il Codice, facile da contestare ma difficile da rimediare, ha attraversato i decenni, resistito e dimostrato una ‘scienza’ e una solidità non sospettabili da subito, ma sempre più comprese nel tempo.

 

Settimana dopo settimana prosegue il nostro commento di tutti gli articoli del Codice Deontologico degli Psicologi Italiani. L'appuntamento è per la prossima settimana con il commento all'Articolo 42. Non mancate.

In questa pagina trovate tutti i commenti finora pubblicati!

(a cura del Dottor Catello Parmentola e dell'Avvocato Elena Leardini)

 

 

 


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Tags: psicologia codice deontologico catello parmentola elena leardini Codice Deontologico degli Psicologi Italiani articolo 41

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