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Il "potere" nella relazione terapeutica

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Nonostante si possa pensare che vi sia uno squilibrio di potere all'interno della relazione terapeutica, in realtà lo psicoterapeuta non esercita un maggiore potere nei confronti del paziente, in quanto sono due persone che, con abilità diverse, collaborano per raggiungere insieme degli obiettivi terapeutici.

il potere nella relazione terapeuticaQuanto seguirà all'interno del presente articolo può applicarsi a tutti quegli adulti che si trovano all'interno di un relazione psicoterapeutica. Per motivi evidenti, questo non può essere applicato ai minori.

Molti adulti in terapia offrono e “concedono” apparentemente un grande potere ai propri terapeuti; ciò spesso determina una percezione de potere differente all'interno della relazione, così che il terapeuta sembri possedere un maggior potere e controllo rispetto al paziente.

Tuttavia, mentre un terapeuta potrebbe avere una formazione specifica, conoscenze particolari e dettagliate, e possedere determinate abilità, in realtà, è il paziente a detenere il maggior potere.

Ad esempio, il cliente, ha la possibilità di parlare liberamente della propria terapia e/o del terapeuta, mentre il terapeuta deve mantenere la massima segretezza e riservatezza.

Inoltre, il cliente potremmo inquadrarlo come il “datore di lavoro” del terapeuta, in quanto ha la possibilità di sospendere il rapporto in qualunque momento, mentre il terapeuta non può eticamente abbandonare un paziente senza prima, qualora non sia in grado di trattarlo, inviarlo ad un collega.

Metaforicamente è come se il paziente fosse il “capo” del terapeuta, non è limitato dalle norme sulla privacy e può sospendere la terapia in qualsiasi momento per qualsiasi motivo.

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È interessante notare che alcune persone provano conforto nella percezione che i loro terapeuti abbiano qualche potere mentale speciale o un potere psicologico, allo stesso modo di come un genitore benevolo ha su un bambino.

Il problema però è che i terapeuti non sono dotati di poteri e abilità speciali che li rendano migliori o “più” rispetto a persone ordinarie con specifiche educazioni e adeguate credenziali.

Questa frequente ed errata percezione dello squilibrio di potere in terapia è probabilmente il risultato del dogma proveniente dalla psicoanalisi freudiana, in quanto si attribuisce grande importanza al concetto di Transfert.

In breve, con tale termine si vuole designare lo spostamento e re-indirizzamento dei sentimenti che si manifestano di solito nell'infanzia, e più spesso per i propri genitori, sul terapeuta.

Purtroppo, poiché alcune persone soffrono di problemi legati ad un'eccessiva dipendenza e vivono un profondo complesso di rifiuto e ansia abbandonica, possono incappare in clinici che , direttamente o indirettamente, possono 'sfruttare' tale limite.

In questi casi, poiché il cliente è disposto a rinunciare al proprio potere sul terapeuta, potrebbe verificarsi un vero squilibrio e possono così essere gravemente danneggiati.

La fortuna è che, nella grande maggioranza dei rapporti terapeutici, che dovrebbero poggiarsi su un solido fondamento della fiducia e del rispetto reciproco, esiste un campo di gioco uniforme di potere condiviso.

Mentre i processi transferali potrebbero essere considerati cruciali nella psicoterapia psicodinamica, nella terapia cognitivo-comportamentale essi sono generalmente considerati come fenomeni interessanti, piuttosto che materiali da “analizzare” per avanzare nel processo terapeutico.

Infatti, nella terapia cognitivo-comportamentale, il terapeuta è visto più come un insegnante, un allenatore, un confidente, un alleato e consulente che si pone sullo stesso piano del suo cliente.

I terapeuti non hanno una visione a raggi X della psiche, non sono dei lettori mentali, ma possono, a partire dalla loro formazione teorica, scegliere quali passi compiere insieme per la promozione del benessere del paziente.

Inoltre, questa realtà di squilibrio di potere non si applica solo alle relazioni terapeutiche; essa si applica ugualmente alla propria relazione con un medico, idraulico, parrucchiere, amico, avvocato e via dicendo.

Questo perchè esistono solo persone con varie educazioni, capacità, abilità, conoscenze, posizioni sociali/politiche e gradi di ricchezza, ma nessuno ha una superiorità intrinseca o un potere psicologico speciale da esercitare sull'altro.

Purtroppo però, come sopra accennato, spesso le persone rinunciano alla propria dose di “potere”, compresi i loro terapeuti, e questo aspetto è forse un focus produttivo della terapia, ma non in senso psicoanalitico.

Naturalmente, si potrebbe sostenere che il massiccio squilibrio di ricchezza su questo pianeta ha determinato un'enorme disparità di potere perchè il denaro è quello che determina il grado di influenza.

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E anche se questo è vero, non significa che coloro che possiedono maggiori soldi, e quindi appaiono come più potenti, in realtà possiedono un valore maggiore del tuo.

Pertanto, è bene riflettere sul fatto che il terapeuta non esercita un maggiore potere nei confronti del paziente, in quanto sono due persone che, con abilità diverse, collaborano per raggiungere degli obiettivi terapeutici.

È importante però notare che la natura dei rapporti terapeutici spesso comporta uno squilibrio legato alla condivisone di informazioni.

Ciò nasce dal terapeuta che spesso apprende i segreti più intimi del paziente, mentre quest'ultimo conosce solamente i fatti superficiali del terapeuta.

Ciò può creare un grande senso di trasparenza e persino di vulnerabilità da parte del cliente che non necessariamente deve avere a che fare con uno squilibrio di potere di per sé, ma piuttosto come una disparità di informazioni personali.

Tuttavia, questo può essere pensato come simile ad un medico che ha una maggiore comprensione delle problematiche mediche rispetto al paziente; resta comunque il fatto che, nonostante gli squilibrio informativi e personali, il campo di gioco del potere interpersonale rimane oggettivo.

 

(a cura della Dottoressa Giorgia Lauro)

 

 

 

 


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Tags: relazione terapeutica

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