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Con #MeToo non siamo più vittime

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on . Postato in La relazione ferita: il labile confine fra corteggiamento e molestia | Letto 2581 volte

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Il #MeToo è un’occasione per riflettere su se stesse e su tutte le volte che ognuna di noi è stata molestata, si è sentita invasa e non ha avuto la forza o la capacità di reagire, ha ricevuto un trattamento indegno dell’essere umano che è. Non ha nulla a che fare, tutto questo, con il “corteggiamento”, con il desiderio reciproco e, per dirla tutta, nemmeno con il “provarci” in modo spontaneo e senza pretese di colleghi, amici, sconosciuti.

Dottoressa Valeria Bianchi Mian

Con #MeToo non siamo più vittimeCon #MeToo non siamo più vittime” dichiara l’attrice (e regista) Asia Argento a un seminario sul ruolo delle donne nei media. E si commuove.

La sua commozione al Parlamento di Bruxelles il 7 marzo scorso è stata accolta con un applauso e io, in tutta sincerità, sono con lei. Mi sento vicina a questa quasi mia coetanea, una donna che, a distanza di tanti anni, ha avuto la voglia e la forza, il coraggio e magari anche lo sghiribizzo, o quel che sia, di indicare al mondo il volto e il nome dell’uomo che, per deformazione viziosa del proprio mestiere, in passato aveva abusato di lei e di molte altre ragazze.

Sarà stato davvero stupro? – domanda qualcuno. Sarà stato un rapporto imposto eppure accolto di buon grado perché denso di promesse succulente? – insinua qualcun altro. Non poteva dirlo subito? – insiste un terzo. Da parte del mondo, in ogni caso, la signorina Argento ha ricevuto una ricca dose di giudizio in cambio della  sua dichiarazione-confessione, ed è ciò che capita spesso quando una donna espone le proprie ferite, le debolezze, le fragilità, e magari gli errori di valutazione. L’attacco alle donne è un gioco che non passa mai di moda. Il tiro all’uomo piace un po’ meno ma, con il #MeToo, questo “sport” ha decisamente ottenuto un certo successo.

Donne e uomini nelle piazze dei Social Network sono pronti a divorare la preda con gusto: la vittima è dolce, il carnefice è salato, le ambiguità delle notizie sono il peperoncino da mettere sopra i condannati alla pubblica forca. Tante persone, forse troppe, sono oggi affamate di capri espiatori virtuali. Di teste da ghigliottinare via web. Di mostri più o meno grossi da mandare all’impiccagione con un grido collettivo. Un nuovo delitto, uno stupro, un fatto di sangue diventano l’occasione per – parrebbe – divertirsi a esporre un giudizio privo di pacata e approfondita riflessione, per decretare all’istante: “la donna se l’è cercata”, oppure, per contro, “il colpevole è lui e basta”. Le masse del moderno opinionismo amano la tortura medioevale così come bramano l’illusione del riscatto. Ed è un po’ in questo clima ormai noto che è nato e ha preso piede per un certo periodo di tempo – e ancora, a tratti – il famigerato “MeToo”, con tanto di hashtag: #MeToo.

Eppure, nonostante ogni spunto di riflessione possa in questo clima contemporaneo tramutarsi in temporale passeggero presto dimenticato, capace di devastazioni rapidissime o di nuove scoperte e formazioni stellari, di insight universali da cogliere al volo (pur restando, questa raccolta, spesso soltanto una mera possibilità in nuce), il #MeToo porta con sé una possibilità di coscienza e di condivisione per le donne di oggi.

 “Sono stata violentata nel 1997 e ci ho messo 21 anni per capire cosa mi fosse successo e per trovare il coraggio e la forza per parlarne in pubblico”, dichiara Asia Argento.  

“In seguito al modo in cui questa storia è stata trattata”, dice, “sono caduta in profonda depressione per diversi mesi e ho trovato la forza per uscirne e rialzarmi grazie a due splendidi gruppi italiani”. Si tratta di: “Non una di meno” e di “Telefono rosa”. In questo sito, i miei lettori lo sanno già, trovate un articolo da me scritto qualche mese fa e dedicato al caso di Filomena Lamberti, la donna “acidata” dal marito e oggi attivista per i diritti delle donne. Il caso di questa signora siciliana è certamente forte e particolare, estremo, ma dimostra che a volte le ragazze, alcune donne, per svegliarsi, per diventare coscienti a/di se stesse devono passare attraverso quel che potremmo visualizzare come “il rapimento di Core da parte di Ade”. La Core rapita diventa una Persefone che regna e sceglie. Porta con sé il marchio ma, dopo l’incontro con il maschile infero, finalmente apre gli occhi. Non si tratta sempre di uno “stupro”, di un gesto estremo, di un rapimento, di una violenza concreta, anzi. Parlo dell’archetipo che vede in scena Core e Ade, ed è la separazione dall’infanzia, dalle braccia protettive della madre, per una fanciulla che – da quel punto in poi – dovrebbe cominciare a percepire se stessa come individuo che entra a pieno diritto nell’Eros e lo comprende, come donna capace di scegliere e di difendersi da sola, come occasione per riflettere oltre il ruolo di eterna vergine aggredita.

L’archetipo del rapimento – e dello stupro – è prima di tutto interno, ed è un’immagine che pulsa nel mito e vive nella mente di generazioni di creature umane, uomini e donne (Bradley .A. Te Paske: “Il rito dello stupro - il sacrificio delle donne nella violenza sessuale” – RED EDIZIONI, 1989)

Finalmente siamo ascoltate e credute!” – continua Asia Argento. “MeToo, penso, è il più grande movimento rivoluzionario per le donne dalla loro conquista del voto". (qui)

Può darsi che si esageri. Può darsi di no. Di certo, il #MeToo è un’occasione per riflettere su se stesse e su tutte le volte che ognuna di noi è stata molestata, si è sentita invasa e non ha avuto la forza o la capacità di reagire, ha ricevuto un trattamento indegno dell’essere umano che è. Non ha nulla a che fare, tutto questo, con il “corteggiamento”, con il desiderio reciproco e, per dirla tutta, nemmeno con il “provarci” in modo spontaneo e senza pretese di colleghi, amici, sconosciuti.

Silvia Di Lorenzo, psicologa analista, negli anni ’90 scriveva: "Il futuro della donna si presenta estremamente complesso. È vero che l'evoluzione della donna esclude in ogni modo un suo ritorno a quei ruoli cui veniva obbligata in passato. Le dinamiche che daranno vita a questo nuovo femminile sono difficilmente categorizzabili”. E ancora: “Siamo arrivati a una situazione che potremmo definire una svolta. Lo stato avanzatissimo dell'inquinamento, il rischio di una guerra, lo stato di malessere della natura. Un femminile che è mancato per troppo tempo. È un meccanismo che attiva un recupero del femminile, di un femminile di cui non si può fare a meno".

Silvia di Lorenzo affermava questi concetti negli anni '90 (note da "L'eredità di Jung"/Riza scienze-febbraio 1990)

Ma chi è questa nuova donna? Più che “un femminile”, oggi scorgiamo in quel senso dell’essere “uno” il plurale possibile, la danza dei ruoli, la possibilità di sentirsi in sintonia con le molteplici voci del Sé. Un femminile contemporaneo ideale che possa essere anche reale e utile deve essere capace di tenere il filo della pluralità. Non solo Core, fanciulla afferrata, inibita, rapita. Non solo Demetra, madre piangente ed eternamente insoddisfatta. Non solo Persefone regina degli inferi. Non solo Artemide, vergine cacciatrice rifiutante il maschile. Non solo Afrodite, creatrice di amore e di bellezza. Non solo Minerva, anche se questa dea, tra le altre, è forse quella che maggiormente riesce a mettere in atto relazioni forti con gli dei e con gli eroi. Non solo…

Rifiutare gli approcci di un uomo magari con la giusta dose di aggressività richiede la partecipazione in coro delle molteplicità femminili: la guerriera in armonia con la seduttrice, la bambina sicura di sé perché accolta dalla madre, la donna capace di riconoscersi completa. Ci sono fanciulle e donne che non percepiscono nemmeno di essere molestate o infastidite. Esistono ancora oggi creature sorde alla profondità del sentire. Rimanere intontite di fronte all’invadenza o, per contro, reagire con estrema chiusura e violenza sono estremi che mi fanno pensare come sia difficile, nonostante i passi compiuti dalle nostre zie e madri femministe, ascoltare noi stesse e darci valore.  Dobbiamo ancora imparare a riconoscere il limite tra noi e l’altro e le possibilità di relazione. Ricordo una paziente che per anni dovette elaborare le proprie reazioni di paralisi emotiva di fronte alle frasi crudeli del proprio ex-partner, parole svilenti, modalità distruttive che non era stata in grado nemmeno di cogliere nel momento in cui lui l’aveva corteggiata e negli anni in cui era stata insieme a lui. Ed erano state violenze psicologiche, oltre che – a volte – fisiche che le avevano lasciato strascichi enormi.

Poi ci sono le guerriere, le risorte da un’infanzia di violenza. Le femministe estreme che dichiarano, sulla scia di eroine mass mediatiche come Diamanda Galas: “certi uomini (quelli che agiscono la propria debolezza facendo i gradassi, ndr.) dovrebbero essere gettati in mezzo alla strada, picchiati, umiliati, degradati e sodomizzati da me e dai miei amici, così per puro sport. Mi piace vederli piangere, il mio cuore batte più forte”.

Riporto questa frase, molto dura, ed è un discorso che sono andata a ricercare in una antologia femminista degli anni novanta. Si tratta di interviste a cantanti e attrici, a donne della scena underground. Si intitola “Meduse Cyborg – Antologia di donne arrabbiate” ed è edito da Shake Edizioni (1991). All’epoca, questo testo mi colpì molto, così come le numerose biografie e storie che contiene (Diamanda Galas, Sapphire, Kathy Acker, Lydia Lunch, Valie Export, Karen Finley, bell hooks, Annie Sprinkle, Avital Ronell, Linda Montano). Da un lato la frase di Diamanda Galas mi aveva lasciata perplessa ma al contempo mi aveva mostrato un mondo fatto di emulazione delle forme più aggressive del fallicismo e, forse, la possibilità di essere anche questo, se soltanto lo si desidera o se ne sente la necessità, magari per un attimo. Per dire quello che ci fa ridere e per esprimere un po’ di disprezzo, ogni tanto, verso quella metà del mondo che – per millenni – ha avuto il potere in mano e tra le gambe. Senza giudizi. Che cosa c’è di male in questo, mi chiedevo, quando le donne sono state sottomesse tanto a lungo? Ci ho messo diversi anni a comprendere come modulare questi aspetti, mantenendo vivi i diversi poli dell’essere.

La mia fascinazione per le femministe aggressive ed estreme, fomentatrici e amanti della rabbia, bisognose di riscatto, è durata poco, poiché nel mio animo sono affine all’idea della “fratellanza inquieta” descritta da Nadia Fusini (“Una fratellanza inquieta. Donne e uomini di oggi”)

«Ci incontreremo senza appartenerci, ci avvicineremo senza strangolarci in legami troppo stretti; accetteremo l’uno dall’altro l’ombra di sconosciuto che ci avvolge. Staremo nell’estraneità reciproca ammirando che l’altro possa fare cose diverse da noi, dire cose che non capiamo, e tuttavia ci riguardano. So che non siamo ancora, davvero, fino in fondo liberi – né uomini, né donne. Non ci parliamo ancora, davvero, da pari a pari».

Da pari a pari.

In ogni campo.

Così come non sembra essere ancora, almeno a giudicare dal #MeToo.

Lanciata dall'attrice Alyssa Milano su Twitter, l’idea del #MeToo in poche ore è stata condivisa da quasi mezzo milione di utenti. Un invito alle donne a non tacere sugli abusi subiti: "Non si tratta di un raro episodio. È una cultura malata. Uomini come Harvey Weinstein si trovano a ogni angolo”, dichiarano le attrici. Ma la controparte maschile fa “mea culpa” e conia l'hashtag #ihave, per confessare le marachelle quando non gli abusi. Gradazioni di ombre al maschile e femminile.

È anche tanto liberatorio, no?

Ragazzine che cedono alle avances non perché realmente in sintonia con il proprio desiderio ma perche la strada in certi ambienti sembra essere solo quella. Donne che in situazioni insospettabili si ritrovano messe alle strette. Capita. A voi non è davvero mai capitato? Siete immuni? Lo siete state, immuni?

Anch’io posso riportare, tra i diversi episodi che, volendo, avrei modo di citare, un momento da #MeToo

Convocata anni fa da un medico a capo di un servizio col quale avrei voluto collaborare, vengo invitata a pranzo – penso a un pranzo di lavoro, naturalmente, pur essendo conscia della fascinazione che la mia persona di donna e di professionista ambiziosa può esercitare anche sull’uomo in questione. Sono ormai sufficientemente consapevole per avere ben chiari i miei desideri e, di certo, in questo caso le stelle che desidero sono esclusivamente lavorative. I presupposti dunque sono per me quelli “alla pari”: io ti offro le mie capacità professionali e tu, che mi inviti a pranzo, mi puoi fare spazio con una consulenza specifica. Dunque parliamone in modo informale. Mi presento con i progetti da discutere. Mi ritrovo infatti a parlare di queste ipotesi ma trovo un personaggio che mette in atto strategie di attacco. Con, addirittura, azioni fisiche: mi si avvicina, si fa pressante. Al mio rifiuto, gentile e fermo, persino ironico, lui risponde stupito. Non è abituato a essere rifiutato. Inutile dire che quella consulenza non l’ho mai ottenuta e che quel pranzo mi è rimasto indigesto.

Che cosa mi resta oggi di questo episodio? La sensazione che, troppo spesso, il mondo sia guidato da persone deboli e che ogni tanto un’alzata di voce come il gioco della verità che è il #MeToo possa essere più uitile che negativo.

 

Crediti immagine: Persefone (1874) di Dante Gabriele Rossetti

 


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Tags: violenza abuso sessuale #metoo

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