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Dove sono i tuoi genitori?

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Quali sono le ombre della genitorialità contemporanea fra il desiderio di maternità e paternità, la realizzazione e il ruolo di genitore?

Dott.ssa Valeria Bianchi Mian

genitorialità

Contemporanea-Mente” è il nome della mia rubrica che ha sede proprio qui sul sito di Psiconline.

Mantengo il filo rosso con la stessa, poiché mi sento particolarmente portata per andare alla ricerca di significati possibili e di possibilità di senso tra i barlumi di coscienza che si accendono nel dire e nel fare collettivo.

Luci abbaglianti versus ombre profonde: se mi metto a osservare gli elementi estremi, i simbolismi opposti dentro le notizie di cronaca e nel calderone degli avvenimenti sociali, nei racconti dei pazienti e nelle trame dei gruppi, scorgo uomini e donne con le loro differenze.

Vedo persone alle prese con ruoli complessi, difficili da indossare senza fare strappi nel tessuto delle relazioni o, per contro, impegnati a capire che fare di quegli spazi (mentali e relazionali) troppo larghi e sfilacciati per essere riempiti soltanto dall’affetto e dalle buone intenzioni.

Provando a osservare gli elementi stridenti, le situazioni che possono portarci a riflettere sulle ombre nelle quali si agitano in genitori contemporanei, tento di scrivere alcune tracce leggere, come una sorta di panorama scorto alla finestra e non di certo esaustivo.

Leggo di genitori agguerriti, padri che danno battaglia ai compiti delle vacanze, madri che denigrano gli insegnanti; visiono articoli che parlano di uomini tutti tronfi perché hanno scritto lettere di protesta e opposizione alla maestra dei propri figli, genitori-armigeri della formazione dei figli; scopro persone che vogliono decidere ogni minimo dettaglio formativo, senza demandare alle istituzioni alcunché relativamente al percorso dei pargoli in ambiente extra-familiare. Loro, i genitori, ne sanno più di tutti gli altri.

Tralascio qui l’argomento “vaccini” perché richiederebbe molti approfondimenti e i dovuti ‘distinguo’, ma ammetto di aver pensato per un attimo anche a questo tema.

Nei gruppi, nei laboratori, in studio, ma anche nella mia vita privata e nel contesto in cui vivo osservo genitori che si incontrano ogni santo giorno e persino la sera tardi nelle chat per parlare dei figli e della scuola: chiacchierano, si immedesimano nei ragazzi, condividono paure e informazioni, tramano con o contro le maestre, e sono ancora una volta protagonisti.

Ascolto genitori che corrono di qua e di là; madri e padri che vanno sempre di fretta ma con il tempo di controllare Whatsapp, Facebook, Linkedin, Instagram, Twitter, e magari postare una foto del figlio o un Selfie preso all’ultimo momento.

Mi confronto con genitori che alla prima occasione acquistano un cellulare per il figlio dodicenne, così da poter rimanere costantemente in contatto, senza lasciare troppo spazio all’ignoto e all’attesa quando i ragazzi sono ‘altrove’.

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Per contro, ho conosciuto altri padri e madri davvero tanto (mi vien da dire troppo) attenti alla ‘salute mentale e fisica’ dei bambini; persone focalizzate sull’alimentazione naturale, sulla scelta di giochi e tessuti di un certo tipo, maniaci dei dettagli; ho visto adulti sempre pronti all’idea creativa, originale, concentrati sull’impegno mentale da offrire ai figli, alla ricerca di stimoli creativi che non fossero tecnologici (in alcuni casi ho percepito modalità forse troppo ‘puriste’), versus genitori che danno l’i-Pad in mano ai bambini senza mettere limiti netti (optando per questo modo di tenerli impegnati senza impegnarsi a loro volta con i figli).

Ecco persone che non perdono una briciola, una virgola, un dettaglio di quel che riguarda le giornate scolastiche dei ragazzi e accompagnano i figli a mille corsi e centomila appuntamenti, quasi senza respirare e far respirare (ah, la bellezza del non far niente, per esempio) – ma colpisce l’immaginazione collettiva il caso di quei genitori che dimenticano i figli a scuola, che estromettono gli stessi dalla propria mente, scordandosi di loro, fino al limite sconvolgente dei bambini lasciati a morire in automobile.

Discutendo con alcune amiche che di mestiere fanno le insegnanti e con i miei colleghi psicoterapeuti, trovo esempi di genitori che non sanno o non vogliono mai dire “no”, fino all’esaurimento dei figli (come a volerli “far spegnere da soli” – cito una frase da un dialogo con una conoscente che fa la maestra): no alla nuova versione di consolle, no alla merendina con la sorpresa, no alle patatine, alla bibita e all’ultimissimo giro in giostra.

Sento parlare di genitori sempre un po’ troppo pronti a dare una mano quando i bambini, prima, e i ragazzi, poi, cadono, inciampano e sbagliano, ma anche di genitori che lasciano a terra il figlio aspettando che sia lui stesso a rialzarsi, anche quando magari il bambino avrebbe bisogno di essere consolato.

Mi soffermo a osservare alcuni genitori che proteggono i propri pargoli quando sono nei guai, e lo fanno qualunque sia l’azione compiuta dai ragazzi, indipendentemente da qualsiasi considerazione di tipo etico e senza coscienza del rischio o del concetto di “limite”, pur di mantenere il controllo sulla prole.

Mi viene in mente una madre, vista da me tempo fa in consulenza, tesa a ignorare l’uso sporadico di cocaina da parte della giovane figlia, a patto di avere la più completa partecipazione di quest’ultima alla gestione familiare di un night club. Tutto ciò è osservabile a partire dalle prime marachelle, fino ad arrivare via-via, briciola dopo briciola, passo dopo passo, alle notizie di cronaca che si posizionano agli estremi.

Penso a quei genitori di Savona pronti a giustificare i bambini che recentemente hanno spezzato le zampe a un’anatra “per giocare”; ricordo quelli che sostengono i figli assassini, violenti, criminali – così penso alle dichiarazioni di madri e padri in difesa dei figli violenti e assassini, come nel caso dell’omicidio Varani e, in questi ultimi giorni, all’uccisione della sedicenne Noemi Durini).

Ho detto estremi, naturalmente, perché in mezzo ci sono gli uomini e le donne con tutti i loro pregi e i difetti. Alcuni di questi estremi li abbiamo già visti nella prima puntata del nostro confronto a quattro autori: lo abbiamo fatto tracciando le vie del desiderio senza limiti, del ‘figlio a tutti i costi’ e dell’utilizzo delle nuove tecnologie per realizzare la genitorialità ambita.

Parlo di genitori che per essere tali farebbero di tutto, compreso l’andare a pagare centinaia di migliaia di dollari per affittare il ventre di un’altra donna. D’altro canto, ne troviamo altri che abbandonano i figli così come li hanno fatti, e via, senza tirare in ballo elementi di affettività. Gli esempi estremi si sprecano: ci si può barcamenare tra le differenti versioni dell’argomento ‘diventare ed essere genitori contemporanei’.

Acquisti facili, modelli di consumo, bombardamenti mediatici, stimoli per un Eros sintetico, attrazioni per una spiritualità patinata, elementi per un pensiero di massa, disinformazione, caos, richiami all’alcol e alle droghe, al gioco patologico.

 

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I pericoli per i bambini di oggi, ad andarli a cercare, sono tantissimi, e forse è il caso di dire che, mentre un tempo il rischio di vivere e crescere e diventare grandi andava affrontato nella foresta buia separandosi dalla famiglia per compiere i famigerati e auspicati riti di passaggio, oggi i nostri figli sostano sulla soglia del mondo virtuale e macchinino, tecnologico e iper-stimolante.

Ci chiedono, solo per il semplice fatto di esistere, di entrare con loro nell’eccesso di luce e di seguirli, di indicare una strada. Siamo in grado di farlo o anche noi, i genitori, siamo facili prede degli “specchietti per allodole”? Se schizziamo via noi veloci per primi, i nostri figli non possono che prenderci a modello. Interrogarci è necessario.

“È cambiato” - scriveva Gustavo Pietropolli Charmet in “I nuovi adolescenti” – “il modo in cui gli adulti si trovano a esercitare il ruolo di padre e madre” (Raffaello Cortina Ed., 2000). Negli ultimi anni, decenni ormai, sono in effetti venute meno alcune funzioni di sostegno tradizionali, rendendo quelli che sono gli adolescenti contemporanei particolarmente sensibili alla separazione dalla famiglia.

Si tratta di ragazzi fragili, con nuove difficoltà rispetto ai loro coetanei degli anni settanta. i genitori moderni sono più presenti nella vita dei figli, fino al limite dell’invadenza (portano controllo anche nelle istituzioni, procurando nuove ansietà ai figli). Verrebbe da chiedersi se quel conflitto, evidenziato da Charmet, tra “Sé non integrati” riguardi in effetti gli stessi adulti.

D’altronde, Robert Bly, poeta e analista junghiano, descrivendo la nostra società come quella degli eterni adolescenti, ha fornito la chiave per osservare questo fenomeno già dal titolo: quando gli adulti rimangono bambini e i bambini si rifiutano di diventare adulti.

La fragilità si esprime nella paura di uscire dalla famiglia e nelle oggettive difficoltà che la società di oggi offre sul piatto d’argento, prolungando in questo modo la simbiosi tra madri, padri e figli.

E i limiti? E la separazione dalla famiglia? E la crescita? E le regole? Negli ultimi tempi sembra esserci un ritorno all’esigenza normativa. Se proviamo a girare il mestolo nel calderone tra gli estremi opposti, nel cambiamento epocale che ci riguarda tutti con il nostro sistema di valori, vediamo come sono cambiati soprattutto i padri e quali elementi positivi e negativi possa avere questo cambiamento.

Secondo Charmet, i figli degli anni novanta hanno chiesto agli uomini delle competenze nuove, pretendendo da essi una presenza che va al di là delle norme - un esserci concreto, caldo e affettivo. O ci sei completamente, sembravano dire, o non ci sei.

I nuovi padri, secondo l’autore, hanno appreso il proprio modus operandi dalle mogli e dagli stessi figli. Sono ormai “materializzati”, con tutto ciò che di buono e di limitante può esserci in questa modalità di rapporto.

Si è trattato di un itinerario più “naturale” e meno “culturale”, di un percorso che si è aperto all’ascolto delle capacità e dei desideri individuali, anche a costo di estremizzare l’attenzione rivolta al desiderio dei figli. I “nuovi padri” degli anni novanta hanno cominciato ad ascoltare l’individuo in formazione e a farsene carico.

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Oggi notiamo qualcosa di leggermente differente: cominciano a emergere testi e siti, voci e articoli che dichiarano apertamente come “abbiamo bisogno di genitori autorevoli” (Matteo Lancini, Mondadori, 2017). Nasce e cresce la richiesta di confini più chiari e di un sistema di regole comprensibile degli stessi bambini e adolescenti.

Occorre tenere conto del limite, perché nell’ascolto del desiderio dei figli, appunto, c’è un nuovo rischio: dare troppo valore e peso agli stessi desideri, con la difficoltà a offrire o almeno a permettere che i figli provino, esperiscano, sperimentino frustrazioni, e rendendo gli stessi intolleranti, troppo bisognosi di essere rispecchiati dalle istituzioni scolastiche, ancora una volta vincolati. Inoltre, essendo il ruolo paterno una sorta di nuova acquisizione trasformatasi attraverso il desiderio affettivo dei figli ed educativo delle mogli e compagne, la coppia genitoriale viene vista in modo decisamente più confuso rispetto ai decenni precedenti.

Il figlio ha “bisogno” di cercare il padre e di conoscerlo “da dentro”, poiché il padre è sempre “culturale” e non solo “naturale”, ed è fondante per la costruzione della propria identità. Questo scriveva nel 2003 Luigi Zoja in “Il gesto di Ettore. Preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre” (Bollati Boringhieri).

Nella genitorialità moderna, fatta di ruoli forse troppo intercambiabili, nei quali le funzioni paterna e materna risultano confuse e spesso commiste, occorrerebbe prendere coscienza del fatto che in ogni cambiamento c’è una ricchezza ma anche dei ‘contro’. Su quali possano essere le difficoltà specifiche che scaturiscono dalla suddetta modifica interna alle famiglie c’è ancora molto da esplorare, ed è quello che stiamo facendo noi qui, confrontandoci.

Nel mese di novembre uscirà in tutte le librerie il testo curato dalla collega Simona Adelaide Martini; si tratta di un volume che raccoglie i contributi di più di venti psicologi, psicoterapeuti e sociologi sulla genitorialità contemporanea.

Ho scritto io stessa un intero capitolo insieme a Barbara Lattanzi, sociologa romana, sulla questione “maternità surrogata”, con riflessioni sulle nuove tecnologie.

Nei prossimi articoli ci premureremo di tenervi aggiornati e di darvi indicazioni su “Psicosociologia della genitorialità”. 

 

 


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Tags: genitorialità ombre confronto

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