Nelle storie di vita di adulti depressi troviamo spesso esperienze infantili predisponenti e comunque significative e frustranti che hanno influenzato e condizionato lo sviluppo psicoemozionale.
Secondo Karl Abraham, psicoanalista di fama mondiale, vissuti emozionali ed esperienze infantili altamente frustranti esporrebbero i bambini, una volta divenuti adulti, alla depressione.
Secondo B.Bettelheim, uno dei maggiori esponenti di psicologia infantile, i comportamenti a rischio di adulti e adolescenti che mettono in pericolo la loro vita rappresenterebbero tentativi disperati di mettere a tacere la loro voce interiore di autosvalutazione: non vali niente, sei una nullità, convincimenti interiori originati da esperienze infantili che avevano fatto sentire il bambino una persona di nessun valore.
Il fenomeno della depressione infantile fu in seguito anche studiato da Melanie Klein che curò con la psicoanalisi un buon numero di bambini piccolissimi. René Spitz osservò invece lo sviluppo dei bambini in seguito alla perdita delle loro madri. I bambini sottoposti alla sua osservazione dopo tre mesi di separazione tendevano a presentare rigidità muscolari nel corpo, in particolare sul viso e lungo la colonna vertebrale e il pianto, come reazione iniziale, veniva
sostituito da piagnistei ai quali spesso poteva seguire letargia.
Se la separazione non cessava, i bambini entravano in uno stato di ritiro dal mondo che Spitz definì “depressione anaclitica” e notò che nel loro atteggiamento corporeo e nel loro comportamento questi bambini piccoli mostravano caratteristiche che potevano riscontrarsi nella depressione degli adulti. Egli poté teorizzare questa depressione come il risultato di un distacco, traumatico, del Sé nascente dal non Sé con il quale il bambino era fino ad allora fuso. John Bowlby osservò casi di separazione prolungata e confermò le conclusioni alle quali era giunto Spitz.
In particolare da questi studi risultò che i bambini in primo tempo tendevano a protestare e cercare in tutti i modi di riavere la madre, in seguito essi assumevano atteggiamenti di disperazione passando da crisi di pianto sconsolato a pianti monotoni ed intermittenti con perdita di peso e arresto dello sviluppo; dopo questo stadio essi assumevano un atteggiamento di distacco-rifiuto, divenendo abulici e ripiegati su loro stessi, continuavano a perdere peso e a contrarre malattie con facilità; successivamente poteva subentrare una fase caratterizzata da arresto irreversibile dello sviluppo intellettivo fino ad arrivare ad uno stato di marasma.
Questo studioso sostenne che quando un bambino o un adulto reagisce con rabbia di fronte ad una situazione reale di perdita egli sta reagendo in modo naturale e perfettamente normale. Egli scrive: “lungi dall’essere patologica, questa manifestazione suggerisce l’idea che l’espressione aperta di questo bisogno così imperioso e potente, per quanto irrealistica e disperata possa essere, è una condizione necessaria affinché l’espressione del cordoglio compia il suo corso normale. Solo dopo che sia stato compiuto ogni sforzo per recuperare l’oggetto perduto, sembra che l’individuo sia nello stato d’animo di ammettere la disfatta e di orientarsi di nuovo verso un mondo in cui la mancanza dell’oggetto amato è accettata come irreversibile”.
Nelle storie di vita di adulti depressi troviamo spesso esperienze infantili predisponenti e comunque significative e frustranti che hanno influenzato e condizionato lo sviluppo psicoemozionale. A tal proposito la psicoterapia analitica psicocorporea può offrire sicuramente un valido aiuto.
(autore dell'articolo il Dott. Alfredo Ferrajoli, Psicologo e Psicoterapeuta, Specialista in Medicina Psicosomatica, Diploma di Alta Formazione in Psicoterapia Psicoanalitica, Specialista in Analisi Bioenergetica)
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