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La psiche del consumo - Intervista con il prof. G. Siri

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on . Postato in Le interviste di Psiconline® | Letto 1541 volte

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la psiche del consumoIncontriamo il Prof. Giovanni Siri in un momento di pausa del suo lavoro e, gentilissimo, si mostra immediatamente disponibile ad approfondire con noi l temi fondamentali del suo ultimo libro.

Ancora una volta cerchiamo, attraverso questo contatto diretto con l'autore, di rendere immediatamente e chiaramente disponibile il succo del libro stesso e chiarire dubbi e domande con chi ha realizzato direttamente l'opera.

Psiconline
La psicologia dei consumi come branca teorico-applicativa delle scienze psicologiche ha visto impegnati in passato anche in Italia psicologi illustri: da Cesare Musatti a Franco Fornari a Gaetano Kanisza. .. Come è cambiato attualmente l'approccio psicologico al fenomeno del consumo e quali sono le principali direttrici teorico-metodologiche che orientano oggi questa ricerca?

Prof. G. Siri
Più che di un cambiamento parlerei di una evoluzione imposta sia dagli sviluppi della psicologia che dalla espansione del fenomeno del consumo. Le due linee di sviluppo hanno posto in luce da un lato un approccio cognitivo ai temi del consumo ( per es. penso alla teoria della decisione, o al tipo di ragionamento che si attiva quando è coinvolto il denaro ), e d'altro canto hanno integrato la prospettiva psicodinamica in una più amia visione delle dinamichesistemiche della personalità ( pensiamo soprattutto ai temi del Sé e della identità coinvolti nella socializzazione al consumo e nei modelli culturali trasmessi dal consumo …).

Non va poi dimenticato che la crescente importanza, nella dinamica del consumo, della componente di comunicazione ( "pubblicitaria" in senso lato ) ha riproposto all'attenzione dei ricercatori i temi della persuasione, del cambiamento di atteggiamento, della identificazione/proiezione. Infine l'imponenza delle pratiche di consumo nella vita quotidiana ha rilanciato la sfida della "psicologia ingenua" alla "psicologia scientifica", o per meglio dire ha riproposto alla psicologia scientifica la necessità di spiegare la "distanza" tra gli schemi disponibili nelle teorie accreditate sui manuali e il "modo effettivo" di "ragionare" da parte del consumatore reale e quotidiano….

Una delle tesi principali esposte nel suo libro è che nell'ottica consumistica delle attuali società postmoderne abbia avuto luogo una trasformazione degli scenari socio-culturali di riferimento che ha investito la psiche individuale e collettiva apportando tutta una serie di modificazioni nel rapporto delle persone con gli altri e con sé stesse; in che senso possiamo considerare cambiata la nostra struttura di personalità e quali possono essere sul piano individuale e collettivo i vantaggi e gli svantaggi derivanti da questa trasformazione?

Il consumismo sembra esser riconosciuto ( dagli psicologi sociali, dagli antropologi e dai sociologi ) come una delle principali leve di esperienza che scardinano il concetto moderno di una personalità imperniata sulla identità coerente con una gerarchia di valori interiorizzati in un mix di relazione identificativa e di pressione educativa istituzionale. A questo sistema organico si starebbe sostituendo una personalità apparentemente frammentata o meglio molteplice ( i "multiple selves" di Harré ) , una sorta di "sé fluido"governato più dal gioco delle identificazioni e proiezioni che dal "giroscopio interno" ( Riesman ) dei valori governati dal principio di coerenza ( Heider, Festinger….).

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Questa evoluzione ai nostri occhi "moderni" non può che apparire potenzialmente patogena: potrebbe però essere foriera di dinamiche creative, di linguaggi alternativi, di un diverso contratto affettivo e di legami sociali….Questa struttura nascente riproporrà il tema del rapporto individuo-società, realtà-immaginario, sintassi-fantasma…Temo però che potrà emergere davvero solo se la condizione di affluenza e di benessere continuerà, e solo se le istituzioni non spingeranno per una ripresa di eticità che portino oltre l'io-centrismo che questa dinamica postmoderna favorisce. La crisi dell'11 settembre già propone qualche interessante re-azionone a questa dinamica: occorre osservare e comprendere, accettando però che le categorie della psicologia moderna forse non sono le più adatte a spiegare questi fenomeni in corso.

Nel suo libro viene ribadito come il "desiderio" sia divenuto l'aspetto centrale del comportamento consumistico attuale, il reale "movente" che ha preso il posto del bisogno di un oggetto o della scelta effettuata in base a criteri quali la sua funzionalità, l'economia, la durata, etc.. Si può parlare dunque di una nuova "logica del desiderio" che informa anche il modo di vivere quotidiano delle persone, con una trasposizione dal piano dei consumi a quello esistenziale. Quali potrebbero essere secondo lei le conseguenze su vasta scala, quindi anche in relazione alla funzione formativa della società, di questo slittamento confusivo dei due piani?

Il "desiderio" costituisce una dimensione nota alla psicologia, e non solo dai tempi di Freud. Il recente - e per certi versi di grande successo- bisogno di coniugare intelligenza e sentimento, ragione ed emozione, testimonia un "ritorno del rimosso" ( la stessa cosa potrebbe dirsi anche per il tema della "coscienza", per esempio nelle scienze cognitive e neurocognitive ) che va nella direzione del recupero del tema del "desiderio", ma in senso ancora debole.

Per affrontare davvero il senso del "desiderio" che sorregge le dinamiche del consumo occorre, temo, ritrovare la lezione lacaniana sulla forclusione e sulla distanza incolmabile su cui si fonda la dimensione simbolica. L'elusione, l'illusione, l'allusione sono le figure del desiderio, che guidano all'autoinganno e alla complicità, utilizzando modalità cognitive tipiche della argomentazione persuasiva, della retorica e delle dinamiche di identificazione ed imitazione. L'attuale dominante paradigma cognitivista si muove ancora troppo rigidamente per offrire convincenti soluzioni in questo campo.

Ammettendo che la dinamica del desiderio in senso "forte" costituisca il cuore della personalità consumista sul piano degli effetti "sociali" assisteremo ad un ulteriore ampliamento delle sfere dell'esperienza vicaria e virtuale, ad un intersecarsi sempre più stretto di cognitivo ed affettivo, ad una ricerca coattiva della "evasione" e della "finzione". Questo porterà a drammatizzare sempre più la frustrazione ed a rendere meno disponibili socialmente a contratti di negoziazione razionale, a favore di movimenti emotivamente orientati.

Nel rapporto quotidiano del consumatore con la marca, il "brand", si assiste -come viene ribadito nel suo libro - alla concretizzazione di un altro aspetto centrale della dinamica dei consumi, la tendenza cioè all'idealizzazione del prodotto che viene investito di forti valenze affettive tali da elevarlo ad una funzione anaclitica, protettiva, per il consumatore stesso.

Da qui ad ipotizzare il passaggio successivo, secondo cui la marca assumerebbe per l'individuo ad un livello psichico profondo una funzione rassicurante anche più delle istituzioni sociali stesse, il passo è breve..Saremo a breve di fronte all'avvento di un economico ed universale meccanismo antidepressivo buono per tutti i momenti oppure è solo l'inizio di una dinamica alienante che potrebbe contribuire a determinare un allentamento dei vincoli della coesione sociale?

Se le condizioni di benessere e di affluenza continueranno, nel mondo occidentale potrebbe effettivamente realizzarsi una "gobalizzazione politica" su base economica e consumista più che su ideali politici nel senso classico del termine. La caduta di fiducia nelel istituzioni ( rilevata in tutti i paesi dell'occidente del benessere ) e il crescente successo delle entità consumistiche ( la marca, l'insegna, prodotti-mito…) rendono plausibile questa ipotesi. Tuttavia l'esasperazione dell'io-centrismo a cifra narcisista ed edonista rende difficile anche per la marca assumere un ruolo di leadership: solo ciò che è al servizio dell'io individuale può sopravvivere…

Esistono già segnali di distacco ( esibito ) dalla marca, come affermazione del primato del sé personale su qualsiasi altra cosa…Credo quindi che la modernità avanzata, o postmodernità, abbia in sé i germi per una difesa dalla alienazione. Anche se è difficile vedere come la parabola io-centrica finirà per fare i conti con le esigenze di organizzazione sociale…a meno di pensare che l'individuazione di ricshi e nemici comuni "reali" determini un viraggio o un regresso di questa tendenza…non tanto determinando un arretramento dei consumi quanto un viraggio su oggetti, servizi ed esperienze di diversa natura ( per esempio a sfondo etico, come le chiese e le sette USA, o come la new age, o come l'ecologismo….).

Siamo nel mezzo del guado, per certi versi non possiamo prevedere come le cose evolveranno: penso che prendere coscienza di quanto succede ( un atteggiamento molto "moderno", ahimé…) sia comunque il modo di poter contribuire a direzionare i cambiamenti in atto, anche se l'assenza di un progetto socio-politico capace di mobilitare l'adesione degli individui rende difficile intravedere un nuovo reale equilibrio…

In conclusione, una domanda di carattere generale che trae spunto dalle critiche, sempre più numerose , che investono oggi l'ambito della psicologia dei consumi nello specifico della pubblicità sui media diretta ai più piccoli, ai bambini, che rappresentano quindi i soggetti più vulnerabili di fronte al "bombardamento" degli spot, che in modo sempre più massiccio sono diretti alle fasce di età più giovani. Come considerare l'intervento della psicologia e degli psicologi, in quanto consulenti ed esperti delle aziende produttrici, in questo ambito specifico?

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Ormai in USA , ma anche in Italia, sono presenti casi ( e cliniche specializzate ) di patologia dei consumi ( la "dark side" del "consumer behavior", come recita ormai un capitolo ricorrente nei testi e nei corsi di Consumer behavior begli States…). Si pensi per esempio all'acquisto coattivo ( sono stati rilevati casi di persone che escono di casa perché questa è ingombra di pacchi di acquisti mai scartati..), oppure al fascino del gioco ( il lotto da noi, per es. ).

Le ricerche sui bambini stanno indicando quanto la loro socializzazione, la categorizzazione, l'inferenza, i modelli relazionali, la rappresentazione del mondo devono alla pubblicità ed alal esperienza di coinvolgimento nell'acquisto ( vengono facilmente condotti dai genitori al supermercato a "fare la spesa" ). Sappiamo che i bambini costituiscono direttamente una fonte di consumo, e indirettamente determinano ed influenzano una altra considerevole quota di consumo. Inoltre la rappresentazione di bambini nella pubblicità è reiterata, insistente, e modella la loro immagine di sé ( e quella che i genitori hanno dei loro figli…).

In sostanza l'interazione bambini-consumo è indubbia, cospicua, potenzialmente rischiosa. Fa parte a mio avviso dei compiti civili ( oltre che culturali ) degli psicologi attivarsi per rendere consapevole la società di questa situazione: anche se proprio la società sembra non disporre di idee e modelli chiari di "formazione della personalità", e quindi non sembra in grado di proporre schemi pedagogici condivisi e convinti. A questo non può essere chiamato lo psicologo soltanto a porvi rimedio: quindi lo psicologo deve gridare "al lupo" senza però saprre dove bisogna correre per evitare di incontrarlo…

 

intervista realizzata da Fernando Maddalena

 

 


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Tags: consumo

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