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Il tema dell'abbandono

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La sindrome dell’abbandono nell'adulto nasce da un’identità profondamente personale che ha a che fare con l’individuale e che sul piano relazionale si propone solo in quanto ripercussione.

di Tamara Marchetti

Il tema dell'abbandonoSecondo la teoria di Melanie Klein (psicoanalista prosecutrice della teoria freudiana), il bambino identifica una sorta di dualismo nella percezione della madre, come se questa fosse effettivamente scissa in madre buona, detentrice di un seno buono e madre cattiva, rappresentata da un seno cattivo ovvero non nutriente, sintomo di lontananza, e minaccia di abbandono.

Nella primordiale conformazione psicologica del bambino, secondo la psicoanalista, non esiste ancora un’immagine unitaria della madre che in alcuni momenti si dedica di più ad avere attenzioni per il suo piccolo, in altri si allontana per svolgere altre attività. Tutto questo risulta scisso e diviso in due diverse persone nell’immaginario intrapsichico dell’infante.

Questo sta a significare per esempio, che il bambino sia maschietto che femminuccia, veda nel proprio padre un rivale, nutrendo nei suoi confronti un profondo sentimento di invidia quale causa primaria della produzione di fantasie distruttive, sia nei confronti del padre che della madre cattiva, che vengono fatti scoppiare, sparire con rabbia e ferocia nella fantasia onnipotente del piccolo.

Ogni relazione primordiale madre-bambino è a se, e ciascuna si caratterizza con un tipo di attaccamento relazionale diverso, ci sono madri per dirla ora con le parole di un altro psicoanalista che però nella sua concezione teorica aprì le porte all’osservazione sistemica e relazionale, quale Bowlby, instaurano con il figlio nei primi sei mesi di vita un attaccamento di tipo sicuro ed altre di tipo insicuro ed evitante.

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Nel secondo caso a differenza del primo, quando la mamma si allontana da lui per uscire o semplicemente sparisce dal suo campo visivo, lui vive l’abbandono vero e proprio, sentendosi colpevole dell’aver fatto un torto alla madre tanto da meritarne una punizione così forte e senza possibilità di recupero. Questo tipo di imprinting si ripercuote nello sviluppo relazionale ed affettivo successivo quando il bambino diventato adulto, instaura relazioni sentimentali importanti e nella fattispecie, nella relazione di coppia con il partner.

Chi ha avuto maggiori rassicurazioni nelle cure e nel trattamento dalla figura materna sa essere sicuro di se e della funzionalità del rapporto instaurato con l’altro, al contrario chi ha una sicurezza debole, vive ogni allontanamento anche per motivi logistici del partner, come se fosse un desiderio di fuga da parte dello stesso, non si sente accettato e compreso anche se da parte dell’altro c’è un sentimento ed un atteggiamento tutt’altro che escludente.

Ci sono quindi delle persone adulte che vivono realmente la sindrome dell’abbandono, ma questo come abbiamo finora spiegato è un problema che nasce da un’identità profondamente personale che ha a che fare con l’individuale e che sul piano relazionale si propone solo in quanto ripercussione.

Il tradimento a volte diventa come un vero e proprio fantasma, che aleggia nella mente di un partner il quale non si sente realmente all’altezza di essere meritevole di amore e soprattutto di accettazione da parte dell’altro, quindi soffre, si sente perdente e pensa che chiunque possa essere migliore di se stesso.

Questo capita anche a donne molto belle da un punto di vista estetico e a uomini affascinanti, i quali si vanno a cercare a livello più o meno consapevole, relazioni difficili, con persone particolari che possono ad esempio essere impegnate in altre relazioni o con problemi di varia entità e natura, che pur non rimanendo indifferenti al loro essere persone attraenti, però non ottengono da tali relazioni quanto sperato ed ambito, se non il vissuto di frustrazione e sofferenza.

Superare queste difficoltà non è così semplice, sentirsi in grado di avere una relazione affettiva stabile e soddisfacente chiama ad un ripescaggio delle proprie origini e quelle non sono modificabili, ciò su cui si può intervenire è il qui ed ora, quando cioè la persona è stanca di vivere i propri fallimenti relazionali, scatta la motivazione ad un cambiamento che sia profondo e radicale tanto da affidarsi ad un altro esperto: lo psicoterapeuta.

Anche quello con lo psicoterapeuta non è un rapporto semplice in quanto si tratta di affidarsi e lasciarsi andare a qualcuno che in quel contesto ha più potere, pertanto, anche questo rapporto rievoca quello con il genitore ecco perché si propone come importante e risolutivo. L’empatia con il rapporto con la propria madre è già di per se funzionale e mette a dura prova di resistenza il paziente che può decidere se continuare o interrompere il percorso e, qualora andasse avanti si prospetta per lui la possibilità mai avuta prima, riuscire a parlare in modo diretto al proprio genitore tirando fuori il sé reale.

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Lo psicoterapeuta infatti è lo schermo sul quale proiettare le rabbie, frustrazioni e dubbi irrisolti fin’ora, la differenza che fornisce la chiave per il cambiamento è che quelle domande per la prima volta troveranno una risposta tutt’altro che semplice ed indolore per il paziente il quale per la prima volta viene riconosciuto nella sua parte adulta e, crescere tutto d’un fiato non semplice, in quanto dietro a quelle difficoltà a quelle sofferenze della mania d’abbandono si riconosceva la reiterazione dell’infantilismo del soggetto in trattamento.

Anche nella relazione con il terapeuta si agisce in questi casi la propria specialità ovvero, mettere in moto la frustrazione, ma in questo caso funge da playmaker per entrare nel vivo della problematica ed iniziare ad elaborare quel lutto creato dalla separazione subita dalla propria madre e fin’ora mai affrontato.

 

A cura della Dottoressa Tamara Marchetti - Psicologa Clinica, Psicoterapeuta Familiare

 

 


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Tags: abbandono abbandono emotivo

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