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Lo spot di FABIO E DARIO -Pubblicità e fantasma di morte (4)

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FABIO E DARIO è il terzo degli spot di "Sulla buona strada", la Campagna sulla Sicurezza Stradale che Psiconline ha deciso di analizzare attraverso lo studio delle psicodinamiche e l’uso pubblicitario del “fantasma di morte”

spot dario e fabio sulla buona stradaProseguiamo, con lo spot di Fabio e Dario, l'analisi della campagna di sensibilizzazione sulla sicurezza stradale “Sulla buona strada”, attivata dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, conl'obiettivo quello di ridurre le morti per incidente stradale. 

Sono stati elaborati e divulgati cinque “particolari” spot sulle principali cause d’incidenti mortali dovuti a comportamenti specifici: le cinture di sicurezza non allacciate, l’uso del telefonino mentre si guida, la velocità e l’indifferenza verso gli utenti deboli della strada, il mancato uso del seggiolino per bambini, il mancato uso delle luci di sicurezza.

ANALISI

Il registro verbale dello spot in questione è il seguente:

Dario - “Da allora io e Fabio un po’ ci conosciamo.”
Fabio - “Di Dario mi sorprende che è sempre pronto ad ascoltare.”
Dario - “Mi chiede scusa continuamente.”
Fabio - “Se avessi rallentato quando l’ho visto sulla bici,
            non l’avrei investito uscendo di strada.”

Dario                              Fabio
1990 - 2016                  1973 - 2016

“Tornare indietro è impossibile. Resta sulla buona strada.
Adeguare la velocità alle diverse situazioni,
è un obbligo che può salvare la tua vita e quella di chi ti sta intorno.”

Il registro visivo si attesta nel primo piano, un quasi mezzobusto, di Fabio e di Dario, due giovani uomini inquadrati sul solito sfondo nero indefinito e da dove emergono, confusamente filtrati, dei punti luce biancastri, possibilmente di alcuni riflettori. Questo sfondo risulta particolarmente ristretto e squallido nell’inquadrare due figure umane oltremodo obsolete. A proposito di quest’ultime, Fabio ha definitivamente compiuto quarantatré anni, Dario ha, altrettanto definitivamente, compiuto ventisei anni.

Questi dati anagrafici si desumono dal registro grafico composto dal nome Dario e dalle date 1990-2016, dal nome Fabio e dalle date 1973-2016: il solito malefico epitaffio. Seguono le normali diciture finali di servizio.

Le caratteristiche emotive del registro visivo sono le seguenti.
Lo spot è recitato in due e in uno spazio angusto e poco significativo.
Le frasi sono distribuite equamente in due interventi, ma la preponderanza delle notizie è riservata a Fabio, il responsabile del tragico evento, il personaggio più deciso rispetto al remissivo Dario. Quest’ultimo si ferma a brevi comunicazioni di ordine psicologico, “ci conosciamo” o “mi chiede scusa continuamente”, mentre Fabio offre una notizia psicologica, “pronto ad ascoltare” e precisa con rimpianto la dinamica logistica dell’incidente stradale, “ se avessi rallentato...”.

L’immagine di apertura dello spot, il primo fotogramma, vede Dario rassegnato con gli occhi rivolti verso il basso in abbigliamento dimesso, mentre Fabio è abbigliato in maniera lineare e guarda l’obiettivo con il piglio dell’attore che si accinge a recitare la sua parte.

Esordisce Dario guardando l’obiettivo e con una smorfia di sconcerto a metà frase, mentre Fabio lo guarda in maniera decisa per poi convergere verso l’obiettivo.
Il primo prosieguo dello spot è contraddistinto da questo rimpallo d’interventi che esibisce un Dario titubante e un Fabio sciolto nel recitare la sua parte. Dopo le parole “io e Fabio”, Dario tradisce un ghigno dubbioso, quasi un “lapsus” nella postura del viso, che attesta il disagio di conoscere chi lo ha travolto uccidendolo mentre andava in bici.

Di poi, lo spot si snoda in maniera semplice e lineare, quasi statica e monotona, eccezion fatta per un nuovo sguardo ambiguo di Fabio verso Dario quando profferisce “Se avessi rallentato quando l’ho visto sulla bici, non l’avrei investito uscendo di strada”.

Il senso di questa frase risulta ambiguo, mentre il significato è impietoso: il riconoscimento della colpa di avere ucciso un uomo. L’ambiguità si attesta nel modo di guardare Dario da parte di Fabio, una contrarietà provocata dal fatto inequivocabile che Dario si trovava nel posto giusto ma nel momento sbagliato. Il riscatto di questa “gaffe” avviene subito dopo quando Fabio dice abbassando il tono della voce “uscendo di strada” che equivale a “sono morto anch’io”:  due morti, uno vittima e l’altro attore.

Alla fine lo spot mostra due leggeri “tic” agli occhi dei protagonisti, non dovuti a emozioni profonde ma all’attesa dello spegnimento della lucetta rossa della telecamera.

A questo punto subentra in grafica l’epitaffio famigerato, mai abbastanza esecrato, con i nomi e gli anni di nascita e di morte di entrambi i protagonisti dell’ambiguo misfatto.

Di poi, una gradevole voce femminile fuori campo recita il registro referenziale costituito dal motto della campagna pubblicitaria e dalla didattica del messaggio: “Tornare indietro è impossibile. Resta sulla buona strada.
Adeguare la velocità alle diverse situazioni, è un obbligo che può salvare la tua vita e quella di chi ti sta intorno.”

Il registro visivo iconico, le sensazioni e le emozioni provocate dalla serie d’immagini, si attesta nella curiosità e nell’immediato distacco emotivo dovuto alla poca credibilità e alla scarsa presa emotiva dello spot, un prodotto risibile e poco serio. L’angoscia non si presenta neanche sulla porta d’ingresso.  

Il registro visivo icononografico, schemi culturali e immagini simboliche, si attesta soprattutto nella grafica degli scarni epitaffi: Dario 1990 – 2016 e Fabio 1973 – 2016, cardini psicodinamici dello spot.

Il registro visivo tropologico, l’uso di figure retoriche, oscilla tra il “paradossale-assurdo” e include la figura retorica capovolta dell’”enfasi”. Il primo si attesta nel dare vita a due persona morte, la seconda nell’assenza di forza espressiva. E’ presente anche la “metonimia” nella frase “mi chiede scusa continuamente” che sottintende e include l’ammissione di colpa.

L’assunto di base psichico e il veicolo dinamico è il “fantasma di morte” in versione diretta.  

Lo spot è risibilmente tanatocratico e si limita a una fredda comunicazione di morte.

COMMENTO

Lo spot di Dario e Fabio è venuto veramente male, è stato maldestramente concepito e malamente istruito. La parca scenografia di base, la parca vena emotiva, il parco abbigliamento dei protagonisti, la parca cura dei particolari, il tutto sortisce uno spot “parco”, fatto “alla carlona”, tanto per fare, senza studio, senza forza. Gli attori sono inespressivi e, se si esprimono, sono asettici e senza nerbo. Lo spot non trasmette alcunché, non fa ridere e non fa piangere, lascia completamente indifferenti anche se si serve di un veicolo delicato e forte come il “fantasma di morte”.
Andiamo per gradi nell’analisi di questo prodotto pubblicitario ricco soltanto di deficienze.
Dario - “Da allora io e Fabio un po’ ci conosciamo.”

Che senso ha? Cosa significa? Nell’aldilà i “morti che parlano” aspirano a conoscersi un po’? Cosa vuol dire un po’? E poi, “post mortem”? Proprio dopo un incidente stradale che li ha a vario titolo uccisi? Ma Dario, Fabio ti ha falciato mentre andavi tranquillo in bicicletta e adesso ti tocca subirlo e intessere “un po’” di amicizia? Non ha senso che questi due signori si conoscano da morti e dopo questo tragico scontro.  
Fabio - “Di Dario mi sorprende che è sempre pronto ad ascoltare.”

Ma come? Dario è un remissivo, uno snervato, un masochista disponibile ad ascoltare il suo assassino? Non gli è bastato il drastico irreparabile danno di essere vittima di un’auto impazzita guidata da Fabio? Gli serve proprio anche la beffa di conoscere e di ascoltare chi lo ha ucciso. Ma poi, cosa gli deve comunicare?

Dario - “Mi chiede scusa continuamente.”
Le scuse per averlo ammazzato a ventisei anni, nel pieno della sua giovinezza e con tutta la vita davanti? Nonostante il fatto che di anni Fabio ne dimostra quaranta, il “chiedere scusa” è scontato in vita presso il consorzio umano per un torto subito o per una mancata precedenza sulla strada. Fabio opera una “catarsi”, una purificazione del tremendo senso di colpa di avere ucciso il povero Dario, povero veramente in tutti i sensi. Ma cosa se ne fa Dario nell’aldilà delle scuse di Fabio?  Ma come? Uno ti ammazza e tu da “morto-vivo” gli chiedi scusa e, incredibile a dirsi, il “morto-vivo” le accetta. Ma questa è una dinamica sociale dei viventi nell’aldiquà! Ma i disguidi
psico-culturali e pubblicitari purtroppo non sono ancora finiti.

Fabio - “Se avessi rallentato quando l’ho visto sulla bici, non l’avrei investito uscendo di strada.”
Ecco l’ammissione di colpa, ma non c’è niente di emotivo, niente di sentimentale, niente di empatico, niente di simpatico. Lo spot non ci fa soffrire  perché i protagonisti sono freddi e inumani, senza connotazioni psichiche, senza qualità, senza virtù. Fabio e Dario sono amorfi. Non hanno padre, non hanno madre, non hanno donne, non hanno figli, non hanno amici, non hanno hobby. Chi sono? In primo luogo sono due morti in vita, due uomini  che possono morire senza dare fastidio in uno spot tanatocratico. Si può capire che la durata di trenta secondi non consente, oltretutto a due personaggi, di individuarsi e di caratterizzarsi, ma si poteva fare meglio al di là del comune tragico destino e del senso di colpa del responsabile. Quest’ultimo si evidenzia nella postura di Fabio, quando fa capire che è morto anche lui “uscendo fuori di strada” e si rabbuia perdendo smalto. Siamo fortunatamente alla fine di questo scialbo spot. Compare l’epitaffio per consentire l’intuizione della morte di Fabio e di Dario.

A questo punto lo spot, che aveva creato poca curiosità e poco interesse per il suo essere parco e sciapo, evidenzia il “fantasma di morte” e scatena, al posto dell’angoscia, una sorridente ironia che tende a tralignare in meraviglia per la pretesa di colpire nel profondo psichico da parte di una semplicistica operazione pubblicitaria.

Ma chissà dove voleva arrivare questo scarno messaggio!
Non sorgono sensazioni di paura e tanto meno di dolore, non si destano senso di pietà e di compassione per Fabio e Dario, non insorge nemmeno la rabbia verso lo spot e i suoi ideatori per la loro inutile provocazione emotiva. Essendo uno spot risibile, un messaggio che non procura angoscia perché non attecchisce e non colpisce, la maggioranza degli osservatori si difende con la semplice dimenticanza: la trascuratezza si ripaga con la trascuratezza. Altri fruitori possono reagire con una parziale “rimozione” se lo spot ha destato una leggera tensione, magari perché ha evocato qualche lutto similare occorso.

Vediamo quali psicodinamiche difensive non possono conseguire.
Lo spot non viene “isolato” ossia non viene scissa l’emozione e il sentimento dall’informazione del messaggio pubblicitario semplicemente perché non desta emozione e sentimento.
Lo spot viene “razionalizzato” non nel senso di difesa dall’angoscia, ma nel senso di valutarlo nella sua parca consistenza.  
Lo spot non viene “annullato” ossia l’angoscia non viene convertita in un rituale nevrotico semplicemente perché l’angoscia non c’è.
Lo spot non desta un “acting out” ossia non induce ad agire commutando la vulnerabilità in forza e l’impotenza in potere semplicemente perché manca lo stimolo adeguato.  
Tanto meno lo spot viene “forcluso” semplicemente perché non c’è angoscia da purificare, da sublimare o da condire con la maionese.
Lo spot non colpisce in alcun modo, per cui non si aprono le strade verso la “Subliminalità”, la dimensione psichica dove cova e lavora il messaggio pubblicitario. La psiche dell’’osservatore- fruitore non viene provocata al punto di provare angoscia nonostante la sua diretta tanatocrazia.

La prognosi impone l’eliminazione dalla circolazione pubblica dello spot inquisito, non per manifesto danno psicofisico, ma per la sua risibilità e la sua pochezza approssimativa.  
Quanto meno lo spot deve avere la seguente iniziale avvertenza: “questo messaggio pubblicitario non nuoce gravemente alla salute psicofisica e non può provocare crisi d’angoscia con conversioni somatiche. Se ne sconsiglia la visione a tutti gli adulti e a tutti i bambini che hanno una sensibilità estetica.  Comunque ricordatevi di adeguare la velocità alle diverse situazioni,
perché è un obbligo che può salvare la vostra vita e quella di chi vi sta intorno.”

Dopo il rischio psicopatologico e la prognosi, a conferma che l’analisi dello spot di Fabio e di Dario è solamente costruttiva, adduco la semplice soluzione per bonificare il messaggio, anche se resta il giudizio tecnico di un lavoro malfatto. Bastava non inserire l’epitaffio con nome e anno di nascita e di morte e il messaggio sarebbe stato accessibile, anche se precario nella qualità e nella capacità diffusiva. In tal modo non sarebbe stato più direttamente tanatocratico e, anche se basato sul “fantasma di morte”, avrebbe lasciato all’osservatore- fruitore la possibilità di elaborare il messaggio e soprattutto di deliberare sullo stato di Fabio e Dario: vivi o morti? Comunque non sarebbe sceso nella sfera psichica subliminale in maniera positiva ed efficace.
Altra soluzione: rifarlo “ex novo”.        

A questo punto invito il mio paziente lettore a rivisitare lo “spot di Dario e Fabio” per avere una migliore coscienza del fatto o del misfatto.

 

 

 

 

 

Per conoscere la parte teorica che è premessa di questa decodifica, leggere l'articolo Pubblicità e fantasma di morte

 

 

Articolo a cura del dottor Salvatore Vallone

 

 

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