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Quanto i pregiudizi e la società condizionano la vita degli individui con Epilessia?

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Il termine epilessia, che deriva dal greco "epilambanein" (essere sopraffatti, essere colti di sorpresa), sta ad indicare una modalità di reazione del Sistema Nervoso Centrale a diversi stimoli.

epilessia

Quali sono i caratteri fondamentali di una crisi epilettica? Essa si manifesta all’improvviso, cessa spontaneamente e tende solitamente a ripetersi, senza che colui il quale n’è affetto, possa opporvisi.

È una sindrome patologica dovute alla presenza di un gruppo più o meno grande di cellule nervose che tendono ad avere una attività eccessiva, comunemente definita come "ipereccitabilità".

Se paragoniamo le cellule nervose nel loro complesso ad una complicata rete elettrica, possiamo grossolanamente assimilare l’origine della crisi ad una piccola "scarica" elettrica eccessiva ed incontrollata, che inizia all' improvviso, generalmente finisce rapidamente ed abitualmente non lascia nessuna conseguenza. Tale scarica eccessiva può coinvolgere un numero limitato di cellule nervose, come nelle epilessie focali, o essere un fenomeno diffuso ad ampie aree della corteccia cerebrale, come nelle epilessie generalizzate.

Il soggetto epilettico tendenzialmente stabilisce una relazione di dipendenza nei confronti del gruppo, familiare o sociale che sia. Il soggetto colpito da una crisi epilettica, in molti casi è attore e spettatore della crisi stessa, nel senso che assiste in prima persona alle modificazioni della propria immagine sia fisica sia psichica, ma che la “vede” anche nello sguardo di chi gli sta intorno, di chi lo circonda e che è coinvolto spesso suo malgrado, in questi episodi caratterizzati dalla repentinità e dalla drammaticità.

LA “STIGMATE” DEI PAZIENTI EPILETTICI

L’epilessia è la seconda condizione neurologica più comune dopo l’emicrania. L’incidenza è di 1 individuo ogni 150.
Ciò che vorrei mettere in luce con questo articolo sono i pregiudizi che ancora oggi gravitano intorno a questa patologia. Questi pregiudicano la qualità della vita dei pazienti in vari ambiti, sociale, vita privata e lavorativa.

Leonnox affermava: «L’epilessia è l’unica malattia secondo la quale la sofferenza è aggravata dalla società»
Queste parole rispecchiano pienamente la situazione attuale. Infatti c’è ancora troppa gente che scambia l’epilessia per una malattia mentale, incurabile, addirittura divina, diabolica o contagiosa. Non solo, le indagini demoscopiche evidenziano genitori che impediscono ai figli di giocare con coetanei epilettici, in altri casi troviamo genitori che non gradiscono insegnanti epilettici, imprenditori che non vogliono assumere persone epilettiche malgrado il controllo delle loro crisi.

Così com’è accaduto per la storia di molte altre malattie anche la storia dell’epilessia risentì per molto tempo della concezione che la voleva causata da forze maligne della natura o da divinità avverse.

Nell’antica Grecia, l’intera tradizione culturale da Omero ad Erodoto, la religione popolare, la dottrina medica stessa, concepivano come normale un diretto intervento della divinità sullo sviluppo delle malattie, come ad esempio l’epilessia.

Era considerata fondamentale l’influenza della luna piena sulla ricorrenza degli attacchi epilettici, secondo la letteratura astrologica l’epilettico, come il pazzo e il posseduto, è soggetto all’influenza della luna e di altri corpi celesti, in quanto esiste una relazione “simpatica” tra il microcosmo ed il macrocosmo: la luna ha un temperamento freddo come il cervello e quando la sua umidità accresce, si verifica un cambiamento simile nel cervello e si ha l’epilessia. Contro questa teoria si schierarono subito i cristiani considerandola una forma di paganesimo. Per curare questa malattia si utilizzavano frequentemente i semi e le radici della peonia, si faceva grande uso della polvere delle ossa di cranio e sangue umano.

Un altro pregiudizio, che contribuì ad aggravare la condizione di isolamento sociale dell’epilettico, fu la paura che egli potesse contagiare gli altri.
Il primo autore del passato a rifiutare il carattere sovrannaturale delle malattie mentali fu il medico greco Ippocrate di Cos (400 a.c.). Nel suo trattato intitolato “Il Morbo Sacro”, rifiutò categoricamente la definizione di “malattia sacra” e ne individuò la causa nel cervello. Nella prima parte di questo testo è evidente il tentativo d’Ippocrate di far capire che questa malattia non aveva nulla di divino, né di demoniaco, ma che era simile a tante altre malattie e quindi provocata da una causa naturale. L’altro significativo contributo è rappresentato dall’affermazione delle basi fisiologiche del disturbo, difatti nel testo sul Morbo Sacro, Ippocrate afferma che il cervello è la sede di tale malattia e di tutte le malattie mentali, con la possibilità di analizzarne i meccanismi e di curarla senza alcun ricorso a superstizioni e magia. Ippocrate per spiegare l’origine di questa malattia utilizza la famosa “teoria umorale” di Galeno secondo la quale lo stato normale dell’essere umano consisteva in un equilibrio di “umori”: flegma, bile nera, bile gialla e sangue, l’equilibrio si realizzava nel momento in cui tali umori rimanevano legati ai composti organici cui avevano dato origine, e questi ultimi non venivano lesi o alterati. Nelle pagine ippocratiche troviamo il tentativo di spiegare l’epilessia come un eccesso di “flegma”, provocato da raffreddamenti che portano ad una secrezione eccessiva di muco da parte del cervello. Nella determinazione e descrizione dello stato patologico in realtà accanto alla teoria umorale, Ippocrate dava importanza ad una serie d’altri fattori tra i quali: fattori anatomici, dietetici, geografici e psicologici.

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Gli studi e le osservazioni sull’epilessia subirono un lungo periodo di stasi durante tutto il Medio Evo, epoca nella quale la spiegazione razionale dei fenomeni morbosi fu abbandonata a favore di una concezione demonologia. In questo periodo gli epilettici erano considerati “posseduti dal demonio” e contagiosi per i propri simili e questo fece sì che si diffondessero ovunque pratiche d’esorcismo molto violente che spesso provocavano la morte. Era frequente, inoltre, che donne epilettiche rimaste incinte venissero sepolte vive con la propria prole, e che gli uomini fossero castrati.

La prima metà del diciannovesimo secolo deve essere considerata l’epoca fondamentale per la diagnosi e la terapia dell’epilessia. Dopo i primi studi scientifici del francese Bravais nel 1827, fu Jackson che nel 1861 affermò, con la sola osservazione clinica, che la crisi epilettica dipende da “una scarica occasionale, improvvisa, eccessiva e rapida, localizzata nelle cellule nervose della materia grigia”. Gli studi di Jackson permisero di porre le basi neurofisiologiche per la comprensione della scarica epilettica e per la nascita della chimica di sintesi, quindi per la terapia dell’epilessia.

I PREGIUDIZI: A CHI DIRLO?

La diagnosi di epilessia opera un ‘importante trasformazione in chi è affetto: non si è più una persona, ma un/a “epilettico/a”, con conseguenti sfavorevoli a livello di identità personale, fonte di notevole stress, dato il significato attribuito a questa parola. Questo ha portato un insieme di comportamenti volti a nascondere la propria malattia, un atteggiamento che sembra svolgere una funzione di adattamento alla propria condizione. A differenza di coloro la cui diversità è visibile o evidente, per le persone con epilessia il problema cruciale diventa la gestione dell’informazione, vale a dire dover gestire la scelta di che cosa svelare della propria condizione di malato e a chi.

Anche in base alla indagine educativa “Future in mind” dell’International Bureau of Epilepsy (IBE) del 2007, l’epilessia ha un notevole impatto emotivo in chi ne soffre. Tale aspetto ha come conseguenza la negazione della malattia stessa per paura di essere rifiutati. Più di un terzo (36%) dei bambini e degli adolescenti, che hanno partecipato, negli anni dal 2005 al 2006, all’indagine dell’International Bureau of Epilepsy (IBE) ha tenuto segreta la propria epilessia alle altre persone in qualche occasione per il timore di essere trattati in modo diverso (38%) e in base alla convinzione che la gente non dovrebbe venirne a conoscenza (47%). Secondo i bambini il gruppo che, tra i compagni di classe, gli amici, gli insegnati, probabilmente li tratterebbe in modo diverso, sarebbe proprio quello dei compagni di classe.

LE DINAMICHE FAMILIARI E SCOLASTICHE

Un bambino con epilessia può portare a cambiamenti nelle dinamiche familiari, essa ha un impatto devastante sulla famiglia la quale rischia spesso di andare incontro ad errori educativi che possono ripercuotersi sulla vita del bambino e sulla percezione di sé stesso.

Durante la gravidanza "l'immaginazione materna anticipa il bambino, prefigura la sua presenza nel mondo, lo anima, lo fa esistere; le madri più fantasiose giungono ad immaginare il battesimo, la festa di compleanno, il primo giorno di scuola”. Si parla di ferita narcisistica, riferendosi alla delusione di scoprire che il figlio immaginato non corrisponde a quello reale.

I genitori rischiano di passare da atteggiamenti di iperprotezione e quindi attuare una limitazione della autonomia del figlio, alla negazione o rifiuto della malattia del figlio con conseguente colpevolizzazione e svalutazione delle sue capacità; fino ad arrivare alla mancanza di affetto con conseguente riduzione del coinvolgimento emotivo al fine di proteggersi da sentimenti come la paura. Tutti questi comportamenti assunti da madri e padri di bambini epilettici, che sono una dolorosa testimonianza dello stigma che la società assegna all’epilessia, possono favorire nel figlio l’assunzione di comportamenti di isolamento e di difficoltà relazionali, reazioni depressive o aggressive. Gli atteggiamenti iperprotettivi a le reazioni aggressive verso il figlio messi in atto dai genitori avvengono perché si sentono in colpa degli insuccessi del figlio, si sentono causa delle sue difficoltà, provano amore verso di lui ma, allo stesso tempo, anche odio per la sua malattia e le conseguenze che essa comporta.

Ritengo opportuno sostenere, in base alla mia esperienza sul campo, che è di fondamentale importanza dare comunicazioni chiare, semplici e ben precise ai genitori ed al bambino stesso, per ridurre quelle che sono le complicazioni sul piano personale e sociale. Dovrebbe esserci un incontro tra genitori, insegnanti, psicologo e il medico per un utile scambio di informazioni.

Dall’ indagine «Future in Mind» “L’epilessia sembra non potersi scrollare la disinformazione e la superstizione le prime cause di disagio che si riscontrano a scuola e in famiglia.”
La scuola luogo di apprendimento e crescita assume un ruolo di conflitti e frustrazioni per l’individuo affetto da epilessia se questo non è accettato dal gruppo classe.

L'insegnante dovrebbe essere informato dei possibili problemi causati dalle crisi e di come si manifestano. Se conosce le caratteristiche delle crisi potrà riconoscerle ed evitare di punire il bambino ingiustamente per il suo comportamento durante la crisi (es. se fa scarabocchi, o non risponde alle domande, etc.). Occorre distinguere se un comportamento "disturbato" è la conseguenza diretta della malattia (una o più crisi possono "spegnere" la coscienza del bambino anche più volte al giorno con il risultato che lo stesso non riesce a seguire tutto quello che dice l'insegnante), oppure è causato da errori di educazione o da sfavorevoli condizioni ambientali (es. povertà di risorse). È da sottolineare che per gli insegnanti esiste una percentuale bassa, 3-5% di imbattersi in una crisi a scuola. L’insuccesso scolastico può essere causato dall’utilizzo dei farmaci i quali in alcuni casi hanno effetti collaterali in quanto provocano disturbi dell’Attenzione e Concentrazione, Memoria, Denominazione ecc.

In casi più gravi si può far richiesta di un insegnante di sostegno o P.E.I. Piano educativo individualizzato.

UN BAMBINO BEN FORMATO SARA’ UN ADULTO PRIVO DI PREGIUDIZI!

 

Bibliografia

  • Epilessia, qualità della vita e rappresentazione di sé a cura della dottoressa Anna Bellini 2007-2008
  • La psichiatria di consultazione/collegamento nelle sindromi epilettiche: aspetti comportamentali e personologici . Lerda, Silvana 2010
  • Le immagini dell’epilessia fra mito e scienza Rosalba Scrimieri. Psychofenia. vol. VII, n. 10, 2004
  • Lezioni di elementi di neuropsichiatria. Docente dott.ssa Valeria Fenzi. Epilessia
  • Lice lega italiana contro l’epilessia. Bollettino n° 141. Dicembre 2010
  • Lice lega italiana contro l’epilessia. Guida pratica per la gestione del paziente affetto da epilessia Mecarelli, Ettore Beghi SIMG: Claudio Cricelli, Francesco Mazzoleni, Ernesto Fumagalli.
  • Lice lega italiana contro l’epilessia “Progetto fuori dall’ ombra”
  • Mutani.R., Massobrio M., Bogetto. La donna con epilessia. Grafiche Mazzucchetti. Milano 2001
  • Silvana Lerda Psichiatria di consultazione collegamento delle sindromi epilettiche: aspetti personalogici e comportamentali. 2009
  • Vegetti M. Opere di Ippocrate, Unione Tipografico. Editrice Torinese. Torino 1965
  • Vivere con l'epilessia. Aspetti clinici, psicologici e culturali Di D'Amico, Cipulli, Giancristofaro, Rita D'Amico, Mafalda Cipulli, Lia Giancristofaro. Franco Angeli

 

(dott.ssa Angela Chiara Leonino)

 

 


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