[…]“Le diagnosi cliniche sono importanti perché consentono al medico di orientarsi in qualche modo, ma non servono ad aiutare il paziente. Il fatto decisivo è il problema della sua “storia”, perché essa sola mostra lo sfondo umano e l’umana sofferenza: e solo allora la terapia medica può mettersi all’opera” […](p. 162)
[…]“Grazie al mio lavoro con i pazienti mi resi conto che le, idee ossessive e le allucinazioni contengono un nocciolo significativo. Nascondono una personalità, la storia di una vita, speranze e desideri. È solo colpa nostra se non riusciamo a capirne il significato. Mi fu chiaro allora per la prima volta che una psicologia generale della personalità è implicata nella psicosi, e che anche in questa si ritrovano i vecchi conflitti dell’umanità.”[…](p. 166)
[…] "presi a considerare i malati in una luce diversa, poiché avevo finalmente capito la ricchezza e l’importanza della loro vita interiore (…)Spesso mi vengono chiesti chiarimenti circa il mio metodo analitico o psicoterapeutico. Non posso rispondere in modo univoco: la terapia è diversa per ogni caso. Quando un medico mi dice che segue rigorosamente questo o quel metodo, ho i miei dubbi sull’efficacia della sua terapia. E stato scritto tanto sulla resistenza che oppone il malato, da far sembrare quasi che il medico voglia tentare di imporgli qualcosa, mentre la cura dovrebbe provenire spontaneamente dal malato stesso (…) L’importante è che io mi ponga dinanzi al paziente come un essere umano di fronte a un altro essere umano” […] (p.170)
[…]“Nelle grandi crisi della vita, nei momenti supremi, quando è in gioco l’essere o non essere, i piccoli trucchi suggestivi non servono: in quei casi il medico è chiamato in causa con tutto il proprio essere (…) Come medico devo costantemente chiedermi che specie di messaggio il paziente mi reca. Che cosa significa per me? Se per me non rappresenta niente, non ho alcun appiglio. Solo quando il medico è interessato, la sua azione è efficace. ‘Solo il medico ferito guarisce’. Ma se il medico si rinchiude nell’abito professionale come in una corazza, non ha efficacia. Io prendo i miei pazienti sul serio; forse sono posto di fronte a un problema come loro. Spesso accade che il paziente sia proprio il medicamento adatto per il punto debole del medico; quindi situazioni difficili possono presentarsi anche per il medico, o piuttosto proprio per lui. Ogni terapeuta dovrebbe essere controllato da una terza persona, sì da rimanere aperto ad un altro punto di vista: anche il papa ha un confessore. Il mio consiglio agli analisti è sempre: ‘Abbiate un confessore o una madre a cui confessarvi!’ Le donne sono particolarmente dotate per questo compito. Spesso hanno eccellenti intuizioni e un senso critico penetrante, e sanno vedere che cosa gli uomini nascondono in sé, e a volte sanno penetrare anche nei meandri della loro “anima”. Scorgono aspetti delle cose che agli uomini sfuggono” […] (p. 172-73)
Jung C. G. (1961), Ricordi, sogni e riflessioni, a cura di A. Jaffè, tr. It. Rizzoli, Milano, 1978.
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