Psicologia della banalità
La banalità è una qualità che raffigura uno stato psicologico individuale e sociale di come sono percepiti e vissuti gli affetti, le interazioni sociali, le conoscenze, la politica.
L'aggettivo banale è un francesismo che deriva da banal «appartenente al signore» che è «comune a tutto il villaggio»; in epoca moderna è diventato «bando»: privo di eccezionalità, di scarso rilievo, insignificante.
L'essere banale è una condizione individuale e sociale che non si contrappone a essere importante, rivelante, affermante, big. Essere banale significa essere un individuo che si accontenta, che è soddisfatto, che è felice di appartenere a una condizione del senso comune e s’identifica con il «sano intelletto» e con il «buon senso» che è dotato d’immediata certezza.
L’etimologia dell’espressione rievoca la locuzione greca «sensazione comune», con cui Aristotele designa - nel De sensu e nel De anima - l’atto percettivo che fonde in unità i dati dei vari organi di senso, riferendoli all’unico oggetto da cui sono determinati: la «sensazione comune» accompagna ogni esperienza sensibile e ne rappresenta l’autoconsapevolezza. Cicerone se ne serve per designare l’insieme delle nozioni e delle credenze su cui esiste un implicito accordo da parte di tutti gli uomini: «communis consensus».
Il sentire comune è ciò su cui si fonda la psicologia della banalità e ne giustifica la veridicità dell'essere: la persona sente le cose che favorisce l'appartenenza e l'identità. E' il diffondersi dello stesso sentire che convince l'individuo a sentirsi parte di una medesima sensazione; sentire è un atto primordiale che non sempre si coniuga con il cogitare: è la vecchia diatriba cartesiana della modernità in interazione o parallela alla postmodernità.
Il banale è un processo psicologico che si estende orizzontalmente tra le varie stratificazioni sociali e intergenerazionali generando una doxa comune.
L'individuo banale è colui che condivide la semplificazione delle cose, fa propri i pregiudizi o semplici e ricorrenti giudizi; fa del sillogismo il suo modo di pensare: Giovanni è un immigrato, tutti gli immigrati rubano, quindi Giovanni ruba.
La tipologia del pensiero banale è caratterizzata da un pensiero semplice, concreto, deduttivo, razionalistico, associativo, assimilativo e da un processo lineare breve: il pensiero banale si contrappone al pensiero della molteplicità, della probabilità, dell'inferenza.
Allo stesso modo, il mondo degli affetti e delle emozioni si articola con on o off – disgiunzione -: o sì o no; o mi ami o mi odi; o sei amico o sei nemico; o sei vicino o sei lontano; o sei bianco o sei altro.
Il quotidiano banale è caratterizzato da opinioni che condividono lo stesso sentire, lo stesso linguaggio, gli stessi modi di porsi in modo che siano il più simile, il più comprensibile, il più condivisibile nell'abbigliamento, negli stessi slogan.
La banalità quotidiana è caratterizzata dalla negazione della complessità. C'è nella banalità quotidiana un meccanismo di rimozione della diversità, della differenza, della pluralità. La banalità quotidiana necessita di rassicurazione, accudimento; è alla ricerca di un codice materno che controlli il male che è, non dentro di Sé ma, fuori di Sé.
La banalità quotidiana è l'utero rassicurante anestetizzato, la banalità è una risposta reattiva alla complessità dell'essere che è percepita come un mostro deformante che trasforma il rassicurante e tranquillo banale quotidiano.
Nell'ipermodernità liquida, frammentata, fluida, sovranista e globalizzata il “senso comune” si è trasformato in un “sentire banale”. Il potere banale è un potere che si presenta con il volto dell'apertura all'inclusione degli assomiglianti e riduce il tutto all'appartenenza del Totem.
Chi è fuori dal regno e dallo spazio onnipotente del Totem – chiesa, esercito, famiglia, patria, confine, partito, movimento, gruppo – appartiene a un altro mondo e quindi è, per definizione, pericoloso: chi dissente dal Totem è considerato un traditore e va isolato.
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