Totem, Orda, Calcio
L'orda, sotto un cielo plumbeo di stelle, si è radunata in una grande e moderna arena capace di accogliere moltitudini di genti provenienti da ogni angolo del continente per accedere nello spazio sacro e celebrare il rito del sacrificio.
Al centro dell'arena però non c'è il magnifico toro bianco incarnato da Zeus che sedusse e fecondò, dopo essersi trasformato in aquila, la bella Europa, figlia di Agenore, re di Tiro.
No, al centro dell'arena c'è una sfera, una palla simbolo di perfezione.
La sfera è il Totem capace di attrarre attorno a sé una folla indistinta senza appartenenza sociale, classe, religione, lingua, razza, sesso, età.
Il Totem contiene in sé il tutto e cancella le differenze, le disuguaglianze, le lingue, è ambivalente include ed esclude, unisce, contrappone amici, avversari. Il Totem per essere totemico deve essere posseduto, introiettato, conquistato, per questo è indispensabile un sacrificio tra parti, una sfida tra amici/nemici, una lotta che stabilisca una identità vincente.
Tutto questo però è possibile solo con la celebrazione di un gioco sacrificale. Le parti si devono scontrare e sconfiggere sullo spazio sacro del verde prato sintetico incalpestato. Nell'arena si consuma lo scontro, si eliminano avversari. Solo una squadra acclamerà i nuovi eroi, i nuovi Titani.
Il rito sacrale è ammirato da masse di persone, da telecamere, da schermi disseminati in ogni angolo di città piccola o grande del continente. Tutti devono partecipare, consumare, mangiare, divorare con gli occhi, con le mani lo scontro con lo sfidante.
Il Totem per essere portato in trionfo va conquistato. E, per sentire la voce dell'onnipotenza infrangersi sull'orda e scrivere il proprio nome sopra lo sguardo impotente dei perdenti, dei dominati, va glorificato e adorato.
Per alcuni è un'opportunità per dimostrare e poter esternare la rabbia sociale diffusa presente nel continente. E' l'occasione per proiettare in qualsiasi luogo, spazio urbano e sociale la tensione individuale, politica, sociale repressa.
La sfera totemica raffigurata dal volto di Giano rivela il passato, il futuro e la soglia di chi deve star dentro e fuori: è l'ambiguità testamentaria delle masse che si percepiscono altro dal potere attuale.
Per quelle masse è un'occasione ghiotta e paradossalmente includente per farsi sentire, vedere sulla scena ipermediatica e globalizzante: si connettono tifosi con hooligans, teppisti con estremisti, gruppi paramilitari con marginali. Mettendosi insieme sfidano fuori e dentro lo stadio l'odio che l'altro faccia di Giano riverbera nei loro confronti.
La scena mediatica, mischiando le molteplici immagini costruisce una narrazione di uno scontro tra una molteplicità di parti che si scompongono e si ricompongono in funzione di essere dentro o fuori l'arena sacrificale.
Questa dinamica è più simbolica all'interno dello stadio e diventa più realistica quando si manifesta all'esterno. Tra interno ed esterno si sviluppa una scissione, uno scarto.
All'esterno il volto di Giano è identificato con con il corpo del poliziotto armato e rappresenta il potere politico e sociale.
All'interno dello stadio l'altra parte del volto di Giano rappresenta la sublimazione e il desiderio di una identità premiante, vittoriosa ed eroica.
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