Un dipinto di Adolf Hitler
Salò. Museo of Madness (follia): interessante nell'allestimento.
Follia deriva da follus, follis: mantice, pallone pieno di vento per giocare, muoversi di qua e di là; nella bassa latinità assunse il significato metaforico di fatuo, stolto, di persona con la testa vuota, piena di vento. E' una mostra sulla “follia”, non sulla malattia mentale o il disagio psichico.
Dipinti come quelli di Ligabue, Goya, Becon, Zinelli, Alessandrini, video sugli Ospedali Psichiatrici Giudiziari o su l'Ospedale Psichiatrico di Trieste sono pungenti e opportuni.
Il concetto di follia della mostra tiene ma deborda quando l'occhio cade sul dipinto senza titolo di Adolf Hitler.
E' il dipinto di un criminale che merita di essere posto su una parete da solo e studiato come oggetto psicopatologico. Associare o accostare il dipinto di costui con la sana, allegra e fantastica fauna e flora di Ligabue o il delirio colorato maniacale di Carlo Zinelli o la voce di Alda Merini con quell'oscuro dipinto è un errore concettuale etimologico inaccettabile.
Il dipinto di A. H. non è accostabile all'espressione libertaria e liberante dei fantasmi che dialogano con un mondo Altro.
E' interessante però svolgere una interpretazione psicologica del dipinto. L'architettura prospettica, costituita da arcate ripetute con strutture di cemento armato o travi di ferro descrivono un ambiente interno chiuso senza uscita. La porta in fondo è chiusa. E' uno spazio soffocante claustrofilico, come se fosse un bunker o un sotterraneo rinforzato. Non c'è luce. La ripetizione dei pilastri simmetrici e delle travi esprime l'onnipotenza claustrofilica, la componente maniacale e ossessiva. Inoltre, la raffigurazione architettonica è simmetrica, non c'è distinzione tra passato, presente e futuro: tutto è tenuto insieme da questa dimensione centripeta.
Interessanti sono le due figure.
La figura in basso a sinistra rappresenta un burocrate, un contabile protetto dal tavolo, evita lo sguardo dell'altra figura in piedi posta sulla destra. E' la figura di una donna poco delineata nei suoi tratti femminili con una borsa tra le mani, vestita con un abito scuro che nasconde le sue fattezze.
La figura in basso è la proiezione della figura paterna: il padre A.H era un impiegato di un ufficio pubblico morto giovane. I tratti espressivi del volto sono indefiniti. E' collocato nello spazio della regressione e nell'inconscio.
La figura di destra è la madre: la madre morirà qualche anno dopo il padre.
E' una madre dai tratti di genere indefinibili, con un volto inespressivo, anaffettivo, guarda l'uomo con fare altezzoso e autorevole. E' una figura ambigua e autoritaria. I due non comunicano.
La borsa, oltre ad essere un simbolo femminile, rappresenta anche l'economia di sussistenza. Tra i due c'è separazione, non c'è nessun contatto, nemmeno quello visivo: totale anaffettività.
Il colore rosso si estende dal basso sotto i piedi delle due figure e si protrae fino alla porta sullo sfondo. E' il colore del sangue, della forza, della violenza.
E' la proiezione di come percepisce e porta dentro di Sé i fantasmi dei suoi genitori: ambigui, anaffettivi, autoritari, freddi, ossessivi. E' la proiezione della sua ambiguità identitaria di genere (odio raziale). L'identificazione-proiettiva con il padre rappresenta l'ordine, l'amministrazione, l'indifferenza, il controllo (guarda chi entra). E' la sentinella paranoica che presidia l'entrata dagli estranei, dai nemici che vanno dominati, sottomessi e distrutti.
La porta in fondo è l'oggetto oscuro, è la parte psicotica più profonda: è la porta dei lager.
Ma da quella struttura architettonica non ci sono vie di uscita: è un mondo autistico e deprimente.
I colori grigi e i toni ombrosi rinforzati dal rosso raffigurano il nucleo distruttivo psicotico e criminoso di un omicida strutturato.
In questo disegno bunker del 1935, c'è già tutta la predditività della storia e della morte di Adolf Hitler: morrà suicida in un deprimente, oscuro, sotterraneo claustrofilico bunker.
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