Multiculturalità a scuola e crescita del territorio
Passano i mesi, passano gli anni. E anche
le nostre idee sull'immigrazione si trasformano.
(R. Vitale)[1]
La partecipazione dei cittadini stranieri alla vita civile, politica, economica e culturale della comunità nazionale è una risorsa positiva, la base su cui costruire l'inclusione, laddove il contesto accoglie e si struttura per valorizzare l’unicità di ciascuno studente.
In riferimento alle esperienze della mia collega di blog Rosamaria Vitale penso sia necessario guardare a tale fenomeno con le lenti giuste, per comprenderlo meglio e poterci lavorare in maniera opportuna.
È necessario, pertanto, costruire la convivenza a partire dai banchi di scuola, che si pone come un sistema condiviso trasversale nella società italiana, della quale fanno parte vecchi e nuovi cittadini. Gli immigrati non sono più una società a parte ma sono una parte della società e la stanno cambiando attivamente. La convivenza, lo stare insieme noi e loro, pur riconoscendo le diversità esalta soprattutto l'appartenenza alla comunità e la condivisione di valori comuni.
I maggiori ostacoli che in genere si incontrano sulla strada della convivenza sono
principalmente l'indifferenza, la disinformazione, la diffidenza. Molte proposte, fatte di grandi propositi e risorse, sono spesso lontane dagli immigrati in carne e ossa, non conosce le loro storie e come vivono e sulla non conoscenza si costruiscono poi luoghi comuni, pregiudizi e paura. È necessario invece promuovere dinamiche di crescita della comunità promuovendo una visione esperienziale multiculturale dinamica e di costruire nuovi significati rispondenti al repentino cambiamento del nostro territorio[2].
Le migrazioni, oltre che un fenomeno di vasta rilevanza sociale, economica e politica, sono anche esperienze emotive molto intense, che rimettono in discussione l'identità profonda degli individui (Vezzosi, A., 2001)[3]: di fronte allo "shock culturale" indotto dall'emigrazione, la mente può mostrarci le sue grandi capacità plastiche di adattamento (Mancia, 1990)[4]. La regressione che segue la separazione può rivelarsi utile, se finalizzata al recupero del vero Sé.
Il primo passo per una vera inclusione è, dunque, la conoscenza: conoscersi, riconoscersi per differenziarsi e avere cura delle relazioni tra le persone.
La riflessione continua nel prossimo post…
NOTE
[1] Vitale, R. (2017). L’abisso che ci separa dall’Africa. In blog Psicologia delle migrazioni su www.psiconline.it. Post del 25 settembre.
[2] Salzano, A.M. (2017). I 100 colori dell’inclusione. Ciclo di conferenze svolte in Argentina sul modello psicopedagogico dell’intersoggettivismo relazionale & educazione emozionale, scaturito dal gemellaggio metodologico tra Argentina e Italia nell’ambito del progetto Educreando.
[3] Vezzosi, A. (2001). Per una psicologia delle migrazioni. In www.psiconline.it
[4] Mancia, M. (1990). Introduzione a Psicoanalisi dell'emigrazione e dell'esilio. Milano: Franco Angeli.
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