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Psicologia delle Migrazioni

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Mi dispiace di averlo perduto

mi dispiace di averlo perdutoNon riesco a rassegnarmi di aver perduto Ahmed, un ragazzo di 25 anni che aveva un grandissimo bisogno di aiuto.

L'ho incontrato per caso mentre stavo uscendo dal centro di aiuto vicino alla stazione centrale di Milano. Ero andata per vedere se potevano dare accoglienza a un ragazzino libico appena arrivato ma poiché era minorenne non era loro dovere doversene occupare. Pazienza!

Sulla strada ho visto un ragazzo che piangeva. Aveva delle carte in mano e le lacrime ci cadevano sopra. Il centro stava per chiudere. Allora mi sono avvicinata " Perché piangi?" gli ho chiesto. " Perché' non ho un posto dove andare" mi ha detto.

Veniva da un centro di Crotone, era siriano, parlava abbastanza bene l'italiano perché era in Italia da due anni.

"Sono stato sette mesi in Ospedale Psichiatrico" mi ha detto,  e intanto si stringeva con le mani la testa. " Non ho più le medicine e la testa mi scoppia" continuava a dire.

Ho parlato con la responsabile del Centro di Aiuto e lei ha accettato di inviarlo in un centro di accoglienza almeno per quella notte.

Lui però ha rifiutato. Ha detto che aveva paura di stare in mezzo a tanta gente.

Allora gli ho chiesto se voleva venire con me al Pronto Soccorso dell'Ospedale ed ha detto subito di sì. Anzi ha chiesto se poteva essere ricoverato.

Quindi è salito in auto con me e l'ho portato all'ospedale di Niguarda, dove c'è una sezione dedicata all'etno-psichiatria. Il percorso non era molto lungo ma ormai si era fatta notte e io mi perdevo in quel quartiere che non riconoscevo.

Perciò abbiamo avuto modo di parlare e mi ha raccontato la sua infelicissima vita e perché era finito in Ospedale.

Quando siamo arrivati il Pronto Soccorso era quasi vuoto. Ci siamo seduti nel corridoio ed abbiamo aspettato il medico, che e' arrivato dopo poco. Uno psichiatra  molto gentile, ha ascoltato la sua storia, ha capito quanto Ahmed stesse male, ma non ha potuto ricoverarlo perché non c'era posto. Ha consigliato a me di portarlo all'ambulatorio il giorno dopo e lì lo avrebbero preso in carico. Dentro di me ero scettica, Ahmed avrebbe dovuto essere ricoverato subito, immaginavo già che il giorno dopo sarebbe stato troppo tardi.

Comunque lo psichiatra gli ha procurato le medicine di cui egli necessitava e così abbiamo lasciato l'ospedale.

Sono stata un po' indecisa, avrei voluto portarlo a casa mia, era solo al mondo, mi faceva tanta pena.

Lui però mi ha chiesto subito se potevo riportarlo in stazione, avrebbe dormito lì. Era contento delle medicine e mi ha detto di non preoccuparmi.

E così ho fatto.

Ha voluto sedersi su un gradino di lato alla stazione, per stare da solo. Io sono risalita in auto, poi sono ridiscesa. " Hai dei soldi per comperarti da mangiare"gli ho chiesto.

"No" mi ha risposto, "Ma non si preoccupi per me".

Invece mi preoccupavo molto. Gli ho raccomandato di ritornare il mattino successivo al centro di aiuto dicendogli che certamente avrebbero trovato un posto per lui.

Speravo che ci sarebbe ritornato.

Invece no, e' scomparso nel nulla. Lo abbiamo cercato per vari giorni vicino alla stazione ma non lo abbiamo più ritrovato.
Ci penso spesso. Mi chiedo se non avessi fatto meglio a insistere sul suo ricovero, magari in un altro ospedale. Lui desiderava essere protetto dalle voci che aveva nella testa e che gli facevano tanto male.

Ma Ahmed è solo uno dei tanti. Ogni città è piena di persone come lui, profughi, fragili, che hanno già usufruito di una prima accoglienza e che poi si ritrovano soli sulla strada.

Non e' giusto, credo che chi dimostra una fragilità psichica o fisica debba essere protetto, per sé e per gli altri. Ma questo non succederà mai.

 

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