Psicologia e fiabe africane
Il mio primo lavoro come psicologa è stato quello che ho svolto in un ospedale psichiatrico. Circa 30 anni fa. Allora ragionavo come Freud, o Jung, non avevo molti altri maestri. Che sono ancora maestri, per carità!
Ma essi non potrebbero proprio aiutarmi nel capire quello che prova un ragazzo di 25 anni, proveniente da un Paese sub-sahariano, che ha solo 25 anni ed ha visto la sua giovane moglie scomparire tra le onde del Mediterraneo. Però ha avuto in fretta la sua diagnosi: disturbo post traumatico da stress.
Peccato che la diagnosi fatta giustamente da uno psicologo istituzionale, non abbia portato a grandi progressi nella relazione con lui. E’ rimasto a fissare il vuoto, senza aprire bocca, per circa sei settimane. Forse anche perché lo psicologo non parlava la sua lingua.
Io l’ho conosciuto al di fuori dei circuiti istituzionali.
Mi sono seduta vicino a lui e lui si è fidato di me. Non gli ho fatto domande dirette, non c’era la scrivania fra di noi. Parlavo io e mi rispondevo da sola, ma vedevo che lui mi seguiva. Gli dicevo “Cheri ti capisco”. Nella sua lingua. “Cheri “ perché potrei essere sua madre. Una madre psicologa.
Come stai, cosa vuoi fare, cosa è successo, mi racconti la tua storia ??? Domande inutili, alle quali lui si era sempre rifiutato di rispondere.
“Una donna sposa un vedovo che ha un bambino: la donna vuole bene al bambino, ma lui non la vuole vedere al posto della sua vera mamma. Allora a donna va da un guaritore e gli chiede come fare a conquistare la fiducia del bambino. Il guaritore le dice che lui potrà fare una magia solo quando lei gli porterà il baffo di un leone. Come fare? La donna inventa una strategia. Porta del cibo al leone, restando in un primo tempo lontana da lui. Glielo porta ogni giorno, finche dopo un po’ il leone si abitua al suo dono e si lascia avvicinare, così lei può strappargli il baffo e ritornare dal guaritore.
“Ecco il baffo che tu mi hai chiesto, adesso fammi la magia”, gli dice. “Non c’è bisogno di fare magie” le risponde il saggio uomo “Come fare per farti amare lo hai imparato da sola”
E così ho fatto anch’io. A Milano, in un dormitorio.
I miei metodi terapeutici sono un po’ diversi dal solito, e so che questo a certi livelli non vengono apprezzati. Si preferiscono i grandi e pomposi discorsi sulla etnopsichiatria e l’utilizzo dei mediatori che quasi mai aiutano nella relazione con il paziente straniero. Che importa se è del suo stesso paese! Ogni uomo racchiude dentro di se la sua storia e le sue emozioni. Inoltre nel nostro lavoro, spesso, non sono le parole che contano.
Una delle strade che si possono percorrere per entrare in contatto empaticamente con chi si è rinchiuso, per motivi vari nel suo mondo interiore, è quella che ho imparato dalle fiabe africane.
Ma per fare ciò ho imparato anche le lingue. Non tutte, certo, ma quelle più usate, francese, inglese, arabo e qualcosa dei dialetti dei paesi in cui ho lavorato. Trovo che sia semplice comprendere qualcuno che viene da mondi tanto lontani , se anche noi abbiamo condiviso il suo mondo.
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