Psicologia ed emergenza profughi
Essendo una psicologa con precedente laurea , ed esperienza di lavoro, in medicina, sono molto facilitata nelle situazioni di emergenza.
Infatti sia sulle navi che sul Mediterraneo cercano di salvari i profughi dai naufragi, sia nell'accoglienza che si svolge al loro sbarco, non è mai presente "uno psicologo", ma un medico sì.
In questo mio primo intervento vorrei presentare la situazione di Milano, tappa fondamentale per i profughi che sbarcano nell'Italia del sud e poi cercano di raggiungere i vari paesi europei. Sono quelli che chiamiamo "profughi transitanti". Siriani, Eritrei, Sudanesi, Etiopi.
Dopo molte peripezie, a Milano è nato l'HUB, un centro di accoglienza e smistamento profughi di eccellenza. Negli ultimi due anni ne sono transitati circa 70.000, e accoglierli non è stato facile, finche non siamo arrivati all'HUB.
Attualmente si va dai 50 ai 500 al giorno, dipende dagli sbarchi. Naturalmente non tutti hanno bisogno del medico, ma molti di loro sì, soprattutto perché portano sul corpo le ferite esiti delle torture che hanno subito in Libia. E da lì si parte, perché se è facile, ma non sempre, medicare una ferita del corpo, non lo è altrettanto medicare quella dell'anima. Sono pochi quelli che sono riusciti a sfuggire alle torture. E con loro essere psicologi è una grande opportunità.
Si ha il desiderio di ascoltarli, anche nei giorni successivi, di valutare la gravità del loro malessere psichico, di dare consigli per il futuro, che loro stessi richiedono. E poi si seguono a distanza, attraverso facebook, che quasi tutti hanno.
Si parte quindi dall'emergenza per costruire un rapporto terapeutico "modernizzato". Una domanda di sostegno che arriva dalla Norvegia, dalla Germania, da Calais, da Londra.
Medicina, psicologia ed internet. Questo è il mondo in cui viviamo.
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