Ansia, depressione, paura (1516622915586)
klava, 20
Salve, mi chiamo Claudia, sono una studentessa universitaria. Ultimamente sto rivivendo un circolo vizioso dato (credo) dall'ansia da prestazione.
Studio, tanto, e mi piace, anche se con lentezza e alcune difficoltà di memorizzazione. il vero problema è che un paio di giorni prima dell'esame mi faccio prendere da un'ansia persistente, che mi blocca, letteralmente. Mi sento incatenata, fisicamente, mi oscura la vista, inizio a tremare e a piangere, e non so che fare... se non sentirmi sola, visto che per lo studio ho rinunciato a tutta la mia vita sociale...
Non ho amici e non riesco a farmene. La persona a cui voglio più bene è mia madre, ma è pur sempre un genitore, ed è lei che, insieme a mio padre mi paga gli studi, quindi non voglio deluderli ulteriormente. Inoltre la situazione in famiglia non è sempre stata serena i miei purtroppo hanno la capacità di dimostrare affetto solo attraverso le cose materiali, non mi sono mai sentita sostenuta, tutto ciò che facevo era inutile e stupido, dovevo stare zitta, e la mia parola e quella delle mie sorelle non contava, tutto ciò che riuscivo a portare a termine, magari anche bene, era solo il mio dovere.
Da ragazzina volevo scappar,e avevo preparato tutto, anche una lettera in cui esprimevo il disagio che mi tenevo dentro, la trovarono e mi portarono da una psicologa, feci poche sedute, non riuscivo ad aprirmi con lei e non ricordo neanche il perchè. Dopo pochi mesi dissi a mia madre che andava tutto bene, e che avrei voluto interrompere la terapia, così fecero. Passarono gli anni, continuavo ad ingerire bocconi e frustrazione, e il vaso trabboccò.
A diciotto anni soffrivo di autolesionismo, e se ve lo state chiedendo, no, nonstante la mia famiglia sia composta da sei persone (i miei genitori e tre sorelle), non se n'è accorto nessuno... Non capivano e rincaravano la dose, mi dicevano che ero capricciosa e pigra se mi vedevano piangere. Le cose degenerarono, mia madre era confusa, non sapeva come prendermi; io,ero come se fossi morta dentro, non parlavo piangevo e rimanevo a letto tutto il giorno, dicevo di stare male, e stavo male, mi sentivo debole, sentivo qualcosa che mi corrodeva dall'interno. mio padre, con le sue parole mi accoltellava, continuava a ripetermi e ad urlarmi che ero inutile, che ero un parassita mangia denaro che si pentiva di aver creato una famiglia, che sarebbe stato molto meglio, se io non fossi mai nata...
Ho iniziato pensarlo veramente, tanto da pensare di farlo veramente... Ho pensato di togliermi la vita, una vita perfetta in potenza, lo è tutt'ora: ho una famiglia, siamo in salute, i miei, pagano i gli studi che amo eppure... non riesco ad affrontare la mia vita, a prenderla in mano e a derle una svolta. Mi sento in colpa, continuamente verso i miei, per questa mia incapacità e la paura mi attanaglia, non penso che sopravviverei ad un'altra crisi come quella di pochi anni fa e oggi sarebbe peggiore, ho più doveri, resposabilità meno amici, sostegno e valvole di sfogo.
Forse quella volta mi salvai anche per merito del mio poco egoismo, pensavo alle conseguenze di quel gesto, al trauma che avrei lasciato alle mie sorelle minori, al dolore dei miei genitori dei miei amici e a quanto sarebbe costato un funerale. Quindi pensai di sparire, mettere da parte qualche soldo e fare in modo che non mi avessero più trovata. Un prof. mi salvò, si era accorto che qualcosa non andava, che il mio rendimento scolastico era sceso vertiginosamente, iniziò a farmi domande, fin quando non mi feci prendere da una crisi di pianto, e notò alcuni piccoli segni sulle braccia.
Finalmente mi sfogai, lui mi diede il numero di psicologa, e parlò con i miei, gli face capire che avevo davvero bisogno di aiuto. Così anche spinta da un'amica, intrapresi la terapia. Grazie alla quale mi sono ripresa, nonostante le cadute e il solito ambiente familiare, mio padre è sempre quello, scorbutico, alla presenza della quale non si deve parlare, che ti dice che lo stai mandando in bancarotta ogni volta che chiedi cinque euro, mia madre è cambiata, non è più rigida e iper-perfezionista come prima, è più comprensiva e (a volte) accetta la mia opinione, anche se a volte mi sento trattata in modo diverso come se fossi più fragile rispetto alle mie sorelle minori. Non so come facciano forse sono più resistenti, anche se noto in loro alcune insicurezze, e la difficoltà enorme nel parlare con mio padre...
Adesso, in questa situazione che non so spiegare ho paura di ricadere in quel vortice. Ho già chiesto aiuto alla psicologa che offre aiuto ai ragazzi dell'università ma ha l'agenda sempre fitta, e non voglio chiedere altri soldi ai miei genitori...Ho già parlato con la psicologa ma forse per il poco tempo, forse perchè io non ho spiegato bene il quadro complessivo, o forse perchè non ho fatto che piangere per quasi tutta la seduta però le parole che mi risuonavano nella testa alla fine del nostro incontro sono: -signorina, lei vive il dolore in maniera eccessiva, è una bella ragazza, i suoi le mantengono gli studi, pensavo che fosse successo qualcosa di veramente molto grave, provi a farsi scivolare addosso quello che dice sue padre e si sforzi, questa cosa che non riesce a mantenere una vita sociale non va bene, sta affrontando quello vive, non per sminuire il suo dolore, in maniera irreale-
Queste parole mi hanno messo diverse pulci nell'orecchio:
-sono esagerata?
-Se dice anche lei che il dolore che provo è eccessivo, sono davvero inadatta alla vita?
-Sono un'ingrata e sola
Ovviamente non ho sentito solo cose negative, mi ha confermato che mio padre ha un brutto carattere, mi rassicurato dicendomi che è normale trovarsi in difficoltà che non sarei nè la prima nè l'ultima... Però purtroppo quello che mi è rimasto in testa è IRREALE. Forse ho davvero dei problemi e non ho gli strumenti per affrontarli ... Mi dispiace per la lunghezza del messaggio, ma leggendo le istruzioni era richiesto di non tralasciare nulla, non so neanche cosa cerco e di cosa sento il bisogno, forse solo una valvola di sfogo e qualcuno cui aprirmi...
Ringrazio per la cortese attenzione.
CV

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Cara Claudia,
vista la tua giovanissima età mi permetto di darti del tu.
Nella tua dettagliata e articolata narrazione traspare un grande bagaglio di sofferenza interiore che trattieni e non condividi all’esterno dal momento che nella tua quotidianità hai scelto di sacrificare la vita sociale per dare spazio soprattutto allo studio e ai doveri.
Lo stato di disagio trattenuto viene così somatizzato ed espresso attraverso il pianto, tale somatizzazione l’avevi manifestata anche in passato attraverso gli atti di autolesionismo.
Questo circuito di sofferenza interiore probabilmente ti condiziona anche nello studio: facilmente quando non ci si trova in una condizione di serenità e si vive un malessere anche la motivazione e l’impegno allo studio possono risentirne, con la conseguenza di rendere l’attività più pesante e più difficoltosa.
Potresti partire proprio dal disagio che provi (un segnale importante che ti dice che qualcosa non va) per iniziare a coltivare l’idea che forse nella tua vita quotidiana avresti bisogno di ritagliarti del tempo per dare spazio ad attività di stacco e di svago rispetto allo studio quali ad esempio fare uno sport, coltivare un hobby, fare una passeggiata ecc.. Tali attività ti consentirebbero di ricaricare le tue batterie interne e tornare allo studio con un maggiore livello di motivazione ed energia.
Gli effetti benefici che hanno le pause programmate durante l’attività di studio sono stati anche confermati da ricerche scientifiche condotte sui processi dell’attenzione e dell’apprendimento. In poche parole, stare sempre e unicamente nella modalità di concentrazione/focalizzazione non risulta efficace sul rendimento quanto piuttosto programmare e riuscire a ritagliarsi nel contempo delle pause che diano spazio ad altri pensieri e attività.
Nel momento in cui inizi a concederti di dare libera espressione anche a ciò che ti piace fare e ti senti più affrancata probabilmente la creazione e lo sviluppo della parte sociale e relazionale verrebbe di conseguenza da sé.
A mio avviso, sarebbe anche importante accogliere l’esigenza che manifesti di essere ascoltata (esigenza ad oggi non realizzata nell’ambito familiare) in un contesto adeguato che, con empatia e accoglienza ti permetta di dare libera espressione al disagio con un effetto di condivisione e “alleggerimento interiore”.
Vorrei rassicurarti sul fatto che la collega psicologa con cui hai parlato voleva probabilmente aiutarti a ridimensionare la portata dello stato emotivo che hai espresso in quella circostanza e non farti sentire esagerata nel senso di “inadeguatezza”.
Per dare spazio alla tua esigenza attuale di ascolto potresti provare a fare riferimento ai servizi psicologici offerti dalla ASL della tua regione nel caso in cui non trovassi uno spazio sufficiente presso lo sportello della tua università.
Un caro saluto e se lo ritieni utile puoi riscriverci per chiarimenti/approfondimenti.
Pubblicato il 22/02/2018
A cura della Dottoressa Arianna Grazzini
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