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on . Postato in Ansia, Stress, Panico | Letto 663 volte

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le risposte dellesperto

Amaranto83, 39 anni

domanda

 

 

Gentili dottori,
vivo all'estero ormai da parecchio e, anno dopo anno, ho visto tutti i miei piu' cari amici o conoscenti partire. Fino all'altro giorno quando la coppia di piu' cari amici che avevo qui, mi ha annunciato di tornare in Spagna. Per me e' stato un colpo durissimo. A parte i primi anni di permanenza qui (quando nutrivo cosi' tante speranze e illusioni, prima fra tutte la speranza di potermi rifare una vita, diventare una persona diversa, piu' aperta, di potermi costruire amicizie solide e poter essere felice), gli ultimi anni sono stati difficili e ora, dopo questa notizia, sento mancarmi il fiato. Sono rimasta completamente sola.

Sebbene sia abituata alla cosa (ho sempre avuto pochi amici,difficolta' a stringere e soprattutto mantenere amicizie, per la mia atavica paura del confronto e miei sensi di insicurezza) ora la solitudine sara' davvero totale. Non ho mai avuto una relazione con un uomo e ormai so che non accadra' mai. Del resto non voglio che accada, so di non avere gli strumenti, la maturita' e sicurezza in me stessa per gestire una relazione sentimentale in maniera adulta, ovvero senza innescare dipendenze patologiche ecc. L'unica cosa che mi resta e' il mio lavoro, l'unica occasione che mi resta per un minimo di socializzazione (sia pur solo virtuale ormai).

Ne' mi sono mai lamentata dello smart working che e' stato introdotto: in realta' per me fu un sollievo non dover vedere i miei colleghi ogni giorno, non dover essere esposta al confronto e competizione quotidiane. Ma almeno prima avevo questi due cari amici su cui contare, gli unici con cui potevo essere totalmente me stessa, che mi accettavano e volevano bene per come sono, con tutte le mie limitazioni, paure, insicurezze ecc. Mi hanno sempre incoraggiata tanto, sempre espresso stima per me e dato tanta forza.

Certo, un'opzione sarebbe tornare in Italia, la mia organizzazione me lo consentirebbe anche avendo uffici anche in Italia, ma so che questo cambiamento sebbene positivo per certi versi (non dovrei piu' vivere sola, nella mia citta' attuale con tanti ricordi tristi, avrei la vicinanza dei miei genitori ecc), mi spaventa anche molto perche' so che si re-innescherebbero certi meccanismi, di competizione/confronto con le vecchie conoscenze di un tempo, meccanismi che furono proprio la ragione per cui mi trasferii (scappai?) all'estero. Anche tornare a vivere con i miei genitori a quasi 40 anni, perdendo la mia individualita' di adulto gia' tanto precaria, credo non mi farebbe bene pscologicamente. In un certo senso so che non saro' serena ne' qui ne' in Italia, e forse qualsiasi paese in cui mi trasferissi, alla lunga mi riporterebbe al punto in cui sono.

Sono stata in terapia certo, ma non ha risolto molto. Ormai conosco a menadito le ragioni per cui sono arrivata al punto in cui sono; come i rapporti con i miei genitori abbiano influito, le mie prime, fortuite sfortunate escursioni nel mondo sentimentale ecc. So tutto, ma purtroppo saperlo non aiuta. Forse non sempre le terapie possono aiutare. Arrivati a un certo punto forse, puo' non essere possibile cambiare e bisogna accettarlo. Ho sempre saputo che non avrei mai avuto una vita piena di amici, persone relazioni e probabilmente mai una relazione sentimentale, ma speravo di potermi adattare, godere e apprezzare le cose importanti che ho (salute, lavoro, due genitori fantastici) e vivere serena di questo.

Per un po' sono riuscita ad adattarmi ma ora e' diventata davvero dura, al punto che non riesco piu' a dormire bene, provo spesso agitazione e paura e cosa ancor piu' grave, so che cambiare scenario non aiutera'. Cambiare paese aiuterebbe probabilmente nel breve periodo, ma temo che alla fine tornerei al punto in cui sono ora.

Sono bloccata e terrorizzata dall'idea di cosa faro' quando avro' perso anche gli ultimi pilastri della mia vita, i miei genitori. Non so davvero da dove ricominciare.

Leggevo questo coach molto noto qui nel paese in cui sono, che dice che siamo noi i padroni della nostra felicita'. Nella maggior parte dei casi, essere felici e' in nostro potere, siamo noi che dobbiamo 'decidere' di esserlo, concentrandoci sulle nostre passioni e su cio' di positivo che abbiamo. E' vero, ho seguito il consiglio, ho ripreso a studiare dedicandomi a una materia che mi appassiona, questo mi ha fatto sentire molto meglio.

Ma poi una batosta arriva sempre ed e' sempre piu' difficle mantenere il precario equlibrio raggiunto e l'obiettivo (felicita', o forse semplicemente, serenita') sempre piu' illusorio e lontano.

 




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risposta

Gentile Amaranto.

Ci sono tre aspetti che comunica della sua situazione.

Un aspetto sintomatologico riferito alla difficoltà di dormire, agitazione, paura, terrore, mancanza di fiato, solitudine.

Un aspetto comportamentale riferito alle condotte di evitamento delle relazioni sociali e sentimentali.

Un aspetto della dimensione cognitiva riferita sia alla percezione di sé come priva di strumenti, maturità sicurezza sia alle attese sul futuro come invariabile rispetto al presente privo di serenità, amici, relazioni sentimentali.

Gli aspetti sintomatologici sembrano attivarsi o riattivarsi in concomitanza con la perdita o l’allontanamento di figure accudenti, genitori o amici cari. Quelli comportamentali di evitamento sembrano innescati da contesti in cui si elicitano confronti e competizioni, mentre cognitivi sembrano essere sostenuti dalla dipendenza relazionale che cita e che non la farebbe sentire autonoma di organizzarsi e fidarsi di sé stessa.

Il problema non è, per come la vedo io, la competizione ed il confronto da cui potrebbe uscire con qualche insuccesso o sentimento di dispiacere, umiliazione e disistima, ma il fatto che se si dessero questi esiti potrebbe temere di perdere la vicinanza delle persone di cui ha bisogno.

L’orientamento al lavoro sembra essere vissuto come strategia di compensazione ..lei dice che tutte le sue relazioni si sono date nel tempo negli ambienti professionali. Se il lavoro non riuscisse a darle gratificazioni per lei sarebbe grave non solo in merito alla prestazione in sé e a quello che conta per lei la prestazione da un punto di vista professionale, ma sarebbe grave perché perderebbe le relazioni che attraverso il lavoro sarebbe riuscita a crearsi. Presumibilmente la dimensione professionale rappresenta un ambito in cui lei riesce bene, altrimenti avrebbe evitato anche quello. Il rischio è di diventare dipendente anche dal lavoro.

Il suo appare configurarsi come un problema di attaccamento dove l’approvazione o la non approvazione giocano sia il ruolo di garantire la sicurezza alla relazione sia il ruolo di minaccia e pericolo per la sicurezza della relazione. In altri termini sussistono due sistemi motivazionali antitetici e in conflitto: il sistema di attaccamento e il sistema antagonista.

Dovrebbe poter immaginare di concepire l’attaccamento e la relazione di cura, o le relazioni sentimentali come incondizionate a priori.. suoi amici che sono partiti per la Spagna la accettano in modo incondizionato. Non accetti che siano solo gli altri ad accettarla in modo incondizionato, accetti in modo incondizionato anche chi non la approva, chi non la comprende, chi la rifiuta.

La difficoltà che potrebbe sperimentare in tale indicazione non deriva dal fatto che desideri anche riuscirci, o che non lo ritenga saggio, ma dal fatto che agisce e reagisce con modelli di comportamento appresi presumibilmente da esperienze evolutive primarie in cui la disapprovazione o la mancanza di una parola di sostegno al momento giusto può averla resa, essendo piccola, insicura di ricevere quella protezione a priori di cui tutti in età precoce abbiamo bisogno per imparare a fidarci di noi in un secondo tempo.

Può avere avuto delle esperienze di abbandono e distacco quando meno se lo aspettava e aver cominciato a sospettare della disponibilità degli adulti da quel momento in poi. Aver cominciato quindi ad evitare le relazioni per evitare di essere abbandonata. Metta in gioco anche questo, oggi può farlo, sicuramente avrà sperimentato di essere capace di decidere e di orientarsi in mondo autonomo come qundo ha deciso di andare all’estero anche se lei la definisce una fuga. Sarà stata una fuga, ma ne è stata capace. Le risorse per autodeterminarsi le ha. Come lei dice sapere che le cose stanno così non basta. Dovrebbe poter riprendere un percorso di psicoterapia che la aiuti ad elaborare in modo forse diverso forse più incisivo forse con strumenti altri le espereinze evolutive di abbandono o minaccia di abbandono, di vulnerabilità soggettiva, poter riconoscere la sua individualità adulta come resiliente rispetto alle paure infantili a fronte del percorso che l’ha portata avanti. Deve poter rivedere i meccanismi di evitamento attivatesi in passato e disinnescarli con procedure che le permettano di riconoscerli prima, di riconoscerli come risorse adattative di un tempo passato in cui non aveva avuto altre strategie che il ritiro e la dipendenza, di collocarli lì dove sono iniziati per riesplorare poi l’idea dipendente di sé come idea “dipendente” dall’evitamento stesso, mantenuto nel tempo delle relazioni non sicure.

Un percorso che apparentemente può sembrare improbabile perché le sembra che il passato domini presente e futuro. In realtà lo credo possibile e con buoni esiti. Se avessi potuto seguirla, per Lei avrei proposto una terapia con EMDR. Tenti questa strada con un collega che abbia questa formazione. Sarà efficace.

Un caro saluto

Liuva Capezzani

 

 


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