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Tossicodipendenze e famiglia (109899)

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on . Postato in Dipendenze e Abusi | Letto 678 volte

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Eliana 60

Sono madre di un ragazzo di 25 anni tossicodipendente: da qualche tempo ho iniziato a seguire dei colloqui di sostegno presso la medesima struttura in cui mio figlio segue una terapia di disintossicazione. In questo ultimo periodo le cose sono peggiorate, mi sento persa, è come se lui non si rendesse conto di quello che fa; oltre ad aver preso tanti soldi in casa, adesso urla durante la notte, si alza e si comporta come se non si rendesse conto che è molto tardi e che tutti stanno dormendo, mi tormenta con 1000 richieste di denaro, mi chiama anche 30 volte al giorno per sapere se gli darò i soldi. Non prende più i farmaci a lui prescritti dalla dottoressa che lo segue e, lei stessa, non vuole parlare con me. Lui non le ha detto che non sta più seguendo la terapia e non le ha detto delle difficoltà che incontra, che non sta affatto bene, anzi, forse le cose sono peggiorate. Io non voglio sapere nulla della sua psicoterapia ma vorrei solo avere dei consigli da parte di chi lo tiene in cura, e vorrei comunicare alla dottoressa che lo segue che mio figlio non segue le cure e che ha fatto uso di sostanze in questo periodo. Vorrei avere dei consigli su come comportarmi con lui, perchè io ho paura per quello che potrebbe accadere a lui qualora mischiasse farmaci e droga, e paura per la restante parte della famiglia visto che da qualche tempo a questa parte sembra non essere consapevole di ciò che fa. Chiedo troppo? E' legittimo questo tipo di richiesta? Cosa mi consigliate? Spero di ricevere una risposta, saluti. Eliana.

 Farei partire questa breve risposta da una sua frase: "E' come se lui non si rendesse conto di quello che fa"; anzi, toglierei il "come se" e direi più corettamente: "Lui non si rende conto di quello che fa". Il soggetto tossicodipendente si trova in una situazione psicopatologica che, tra le altre cose,  presenta tratti ossessivi e maniacali, in cui spesso manca la capacità di esprimere una volontà  chiara e coerente e di aderire a "programmi" terapeutici e percorsi di disintossicazione per lui predisposti. L'unica cosa è il pensiero ossessivo della "roba" e i soldi per procurarsela, in una sorta di autodistruttiva "coazione a ripetere". La questione che pone mi sembra condivisibile. E' chiaro che lei ha il diritto di comunicare con la dottoressa che lo tiene in cura, ed ha il diritto di segnalare difficoltà, problemi o il fatto che lui non prende i farmaci. Quello che lei chiede è in linea generale legittimo, ma va valutato caso per caso. Non so perchè la terapeuta che ha in cura suo figlio non vuole incontrarla. Bisognerebbe chiederlo a lei e capire che strategia stà adottando. Posso supporre che questo abbia un significato e un rilievo nell'ambito della psicoterapia. Anche se può sembrare un po' difficile da capire, un percorso di cambiamento può attraversare fasi in cui il lavoro non deve risentire di influenze d'interventi esterni, anche se in buona fede o "chiarificatori". In questa fase, posso ipotizzare, la terapeuta ha deciso di  fidarsi di suo figlio per ottenere un'alleanza  utile al prosieguo della terapia e, dunque, vuole fidarsi della sua versione dei fatti, pur sapendo che rappresentano un punto di vista parziale. Cordiali saluti.

(risponde il Dott. Orazio Caruso)

Pubblicato in data 06/06/08

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