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Psicologia infantile (03112006)

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Marina 28

La mia domanda riguarda la mia bambina di 3 anni e mezzo. E' cresciuta in modo diciamo normale fino a 1 anno e mezzo 2. Poi ha fatto un anno in cui si è fermata, si isolava, non aveva voglia di giocare, all'asilo faceva il contrario di quello che chiedeva la maestra, parlava poco e male e solo con frasi copiate da cartoni animate e se le si chiedeva qualcosa non rispondeva. Inoltre si rifiutava di togliere il pannolino fino a questa estate. Ora su consiglio di una amica abbiamo cambiato scuola materna e pare che le cose vadano meglio, comincia un po' a parlare con noi per tutto ciò che le serve, ma continua a far finta di niente quando la chiamiamo o le chiediamo qualcosa. Vi dico che ha subito forti pressioni a mia insaputa dai nonni che le dicevano che era una handiccapata, che era autistica e che non era capace di fare le cose che fanno i suoi coetanei. C'è qualcosa che posso fare? Esistono psicologi infantili e che terapia fanno? Grazie

Cara Marina, per cominciare le esprimo subito il mio punto di vista ogni qualvolta un bambino presenta dei “sintomi” che pongono in allarme i genitori. Per il bambino il “sintomo” è l’equivalente di una richiesta di aiuto, ed è bene che il genitore lo prenda come tale, ovvero non soltanto come un problema da superare o addirittura da debellare, ma soprattutto come un’opportunità per crescere insieme e liberarsi da alcuni preconcetti riguardo i propri figli. Non bisogna mai commettere l’errore di focalizzarsi troppo sui “sintomi” del bambino, si rischierebbe di entrare in un circolo vizioso che non permette di vedere le sue effettive risorse e potenzialità. Mi rendo conto che questo non è così facile, specie se si ricevono pressioni dall’esterno come, nel suo caso, dai nonni che si rivolgono alla bambina dandole dell’autistica o dell’handicappata (seconda regola: non bisogna mai, in ogni caso, parlare dei problemi della bambina, davanti alla bambina stessa, ma, discuterne, eventualmente, solo tra adulti). A questo proposito vorrei aprire una parentesi sul “Disturbo Autistico”: si presenta di solito dai 2-5 casi ogni 10.000 soggetti, e il disturbo è da 4-5 volte maggiore nei maschi che nelle femmine, e in casi ancora più rari si riferisce uno sviluppo normale nel 1° anno di vita e non oltre, per cui ritengo che ci siano elementi a sufficienza per escludere la presenza di questo disturbo. Anche per quanto riguarda il termine “handicappata”, è altrettanto evidente che si tratta solo di un modo dispregiativo di “educare” la bambina, considerando il fatto che si può parlare di “handicap” solo in presenza di deficit neurologici (es. ritardo mentale), sensoriali (es. sordità) e motori (es. paralisi cerebrali) o anomalie genetiche (es. sindrome di Down). E anche questo non mi sembra il suo caso. Detto questo, posso supporre che la bimba sia utilizzata dai nonni come “capro espiatorio” delle tensioni e dei conflitti presenti in famiglia, anche se, di fatto, avrei bisogno di maggiori informazioni e approfondimenti. Ora, tornando alla bambina, lei mi scrive che è cresciuta normalmente fino ad 1 anno e mezzo, due, dopo di che si è come “fermata” e quando lei mi dice che la bambina si è “fermata” esprime ciò che accade “normalmente” in questo periodo. Infatti, fra i diciotto e i ventiquattro mesi la sua bambina, come tutti gli altri, ha attraversato la fase detta di “crisi di riavvicinamento”, in cui avrà manifestato un atteggiamento “ambivalente”, specie nei suoi confronti: da una parte le voleva rimanere aggrappata (dando l’impressione di perdere quella maturità e quell’indipendenza raggiunta precedentemente), mentre dall’altra esprimeva, anche in modo prepotente, il bisogno di essere lasciata sola. Risultato: a quest’età ogni bambino sembra “fare un po’ come gli pare”, oppure “non si sa mai cosa vuole”, o ancora “qualsiasi cosa si fa per soddisfarlo è sempre sbagliata” (quante volte avrà sentito frasi del genere o lei stessa, forse, le avrà pensate). Per cui, il fatto di non dare ascolto alla maestra, di rifiutarsi di fare quello che le si chiede, è abbastanza normale, almeno entro certi limiti. Quando tali atteggiamenti diventano “eccessivi”, significa che la bambina risente probabilmente di alcune relazioni (con i genitori, con l’insegnante, con altri conoscenti e altro) che non sono adeguate per la specifica fase di crescita. Non dimentichiamoci che la parola d’ordine che i bambini ripetono frequentemente a quest’età è “no”: il “no” dei bambini aiuta a crescere, quindi ogni “no” va educato, mediato, non represso e neanche completamente assecondato Immagino che la bambina, nel rapporto coi nonni, si sia sentita molto svalutata, poco ascoltata, protetta o forse anche soffocata nel suo bisogno di indipendenza emotiva. Da quello che mi dice, sarebbe certo meglio che la bambina passasse meno tempo con i nonni, ma se questo non è proprio possibile, allora la situazione andrebbe risolta attraverso l’aiuto di uno specialista per evitare, in seguito, ripercussione nell’apprendimento a scuola. Il rifiuto, per esempio, di togliere il pannolino, è piuttosto comune (io mi preoccuperei di più lì dove il bambino non esprime alcun rifiuto), ma è altrettanto comune che un’esperienza “fisiologica” possa trasformarsi in un vero e proprio tormento per la famiglia intera. Il cosiddetto “controllo degli sfinteri” non è solo un fatto di maturazione organica (anche se costituisce una condizione necessaria per avviarne l’educazione), ma significa, soprattutto “controllo della realtà” da parte del bambino, ovvero controllo dei propri impulsi e controllo delle reazioni dei genitori. Inoltre, tale controllo è piuttosto variabile tra bambini, quindi non ha senso fare dei confronti o mettere sotto pressione un bambino, altrimenti si rischia di spingerlo o verso una forma cronica di stipsi, per cui è il genitore che “deve far uscire la cacca”, oppure verso un piacere esagerato di evacuare e di sporcare tutto, suscitando nei genitori sensazioni di impotenza. Al momento, la bambina ha bisogno di elaborare meglio, e in modo personale, le sue esperienze, di trovare un “suo” modo di comunicare, senza dover ricorrere a frasi fatte e “copiate” da cartoni animati, per paura di essere giudicata come una bambina anormale. Mi ha scritto che, nel momento che ha cambiato la scuola materna, la bambina parla di più, è più disponibile, anche se lei, come madre capisce che c’è ancora altra strada da fare. Prima di tutto metta da parte ogni eventuale senso di colpa nei confronti della bambina (i sensi di colpa non fanno altro che perpetuare “cattive azioni”), inoltre provi ad utilizzare canali diversi per comunicare con lei, per esempio attraverso il disegno spontaneo, l’utilizzo di piccoli animali di gomma o di plastica, il gioco di plasmare il pongo e altri: provi a intuire cosa passa per la mente della bimba mentre fa questi giochi, condividendoli insieme a lei. Mi raccomando, però, non si ponga mai nei confronti di sua figlia come una terapeuta o come una maestra, ma rimanga naturalmente se stessa. Inoltre, la incoraggi molto nelle autonomie di base (che, oltre ad essere importanti per raggiungere una certa indipendenza emotiva, favoriscono la coordinazione motoria) evitando di “punirla” quando combina dei pasticci e lodandola quando riesce a fare qualcosa da sola. Per cui, la metta nelle condizioni di mangiare spesso da sola, di lavarsi i denti da sola, di andare al bagno da sola, di sbottonarsi la camicia o il grembiulino da sola, ecc; insomma, le crei un ambiente dove lei, come mamma, definisce esplicitamente delle regole ben precise, dopo di che la bambina saprà muoversi autonomamente. Inoltre, assieme a regole chiare ed esplicite, sono molto importanti i “rituali”: per esempio, lavarsi le mani prima di mangiare, guardare i cartoni solo in certi orari, leggere una storia prima di rimboccare le coperte, ecc. Tutto ciò contribuisce a darle sia un senso di stabilità che di maggiore autonomia (e, a lei, un maggior senso di leggerezza). Per ultimo, è molto importante che la bambina non rimanga troppo tempo davanti alla televisione, che è da ridurre, secondo me, al minimo e, quando guarda un cartone animato, provi a stimolare sua figlia chiedendole di raccontare quello che ha visto, cosa le è piaciuto in particolare, cosa le ha fatto paura, ecc. A quest’età i bambini hanno molta familiarità con i mostri, le streghe, i fantasmi e addirittura con la “morte”: non bisogna svalutare quello che dicono i bambini tentando di sdrammatizzare con frasi del tipo “ma cosa dici, i fantasmi non esistono” e simili. Neanche le favole esistono, ma per i bambini sono molto importanti: aiutano a organizzare e sviluppare un pensiero creativo, a risolvere le loro paure e angosce, a chiedersi il “perché” delle cose, ad andare oltre la realtà, mentre la televisione, specie se usata in modo passivo, fa esattamente l’opposto. Davanti alla televisione “no limits” la bambina, a quest’età, potrebbe essere bombardata di immagini e scene che non ha il tempo di metabolizzare e di rielaborare, e di fronte alle quali potrebbe sentirsi inadeguata. Quindi, è molto importante spostare l’interesse verso la “lettura” di storie o fiabe tradizionali, lasciando che sia la bambina stessa a scegliere quella da leggere tra un elenco limitato di storie da lei proposto (non bisogna mai lasciare che un bambino si trovi da solo a dover “scegliere” tra un’infinità di libri oppure di DVD: è sbagliato pensare che in questo modo si senta stimolato, al contrario si sentirà impacciato o, all’opposto, onnipotente). Detto questo, spero di averla accontentata a sufficienza. Quello che mi chiede lei, se esistono terapie o psicologi dell’infanzia, è si, ne esistono e tanti, anche se spesso, provenendo da diverse scuole di formazione, hanno opinioni e pareri discordi. Io sarei fondamentalmente contraria alla “psicoterapia individuale” per bambini, o per lo meno, la considero più un’eccezione che la regola. Infatti, la psicoterapia individuale nei bambini così piccoli può tendere a favorire comportamenti di dipendenza e di isolamento, piuttosto che di autonomia. Il discorso è diverso se il trattamento avviene in un piccolo gruppo, all’interno del quale i bambini piccoli si sentono maggiormente motivati, senza il problema di dover affrontare una situazione per loro “anomala”. Per il momento le consiglio una valutazione “globale” (non basata sui sintomi) da parte di uno specialista, attraverso l’osservazione del gioco e la selezione di alcuni test. E’ implicito che verranno richiesti anche alcuni colloqui ai genitori.Per cominciare a sondare il terreno, provi prima di tutto a rivolgersi all’insegnante della scuola materna e anche al suo medico di base. Inoltre, si informi presso l’URP della sua Circoscrizione se esistono istituti privati convenzionati che si occupano di valutazione e terapia dell’infanzia. Comunque, nel frattempo, provi a seguire i miei consigli e a muovere “i primi passi”, nonché a riflettere su quanto le ho detto; non commetta l’errore di delegare ad altri quello che può fare benissimo da sola. Lo specialista le può fornire sicuramente un valido aiuto, ma non può e non deve risolvere il problema al posto suo. Si faccia risentire tra qualche tempo. Tanti saluti a lei e alla sua bambina.

(risponde la dott.ssa Aurora Capogna)

 

 

 

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