Così è stato tradito Basaglia: successi (e lacune) di una legge
«Da dentro il giardino di San Giovanni si poteva leggere il mondo; con quella lettura qualcosa è cambiato». Così scrive Franco Rotelli, attualmente direttore generale della ASS n. 1 a Trieste e a suo tempo successore di Franco Basaglia alla direzione dell'ospedale psichiatrico triestino di San Giovanni, in cui è maturata l'esperienza che ha cambiato radicalmente l’atteggiamento dinanzi alla malattia mentale e all’istituzione manicomiale, realizzando nel 1978 la legge 180 che poneva fine a quest'ultima — la cosiddetta legge Basaglia, dal nome del suo carismatico promotore — e riconoscendo finalmente i malati psichici come persone a pieno titolo, persone in difficoltà, anche assai gravi, ma nella pienezza della dignità umana.
La legge 180 non proclama che i malati mentali sono guariti o non esistono, bensì semplicemente che essi sono cittadini da tutelare al pari di tutti gli altri; anche da punire, se compiono reati, come si punisce un malato di cancro se ruba, ma da considerare sempre e comunque uomini. Si tratta di una fondamentale conquista civile, che estende il riconoscimento della dignità umana a una categoria di persone cui si tendeva a negarlo: mentre non si è mai considerato un uomo sofferente di cuore o di tubercolosi un mero caso di cardiopatia o di tbc, bensì un uomo, un malato di schizofrenia è stato spesso percepito unicamente come uno schizofrenico, quasi fosse soltanto la mostruosa e astratta incarnazione di una malattia anziché un individuo colpito da una malattia. Non a caso il linguaggio, prima spia della violenza, ha visto usare quali ingiurie tanti termini che definiscono dolorose malattie psichiche.
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