Oggi abbiamo lavorato molto e sono tornata a casa tardi, stanca e confusa. Non era neanche il giorno in cui avrei dovuto andare all’hub, ma sono stata chiamata alle sette di mattina perché un ragazzo curdo si era presentato dicendo che voleva parlare con me. Ho capito subito che era un profugo che era passato da noi una settimana prima e che aveva manifestato evidenti problemi psicologici. Parlava solo curdo, passando dalla tristezza al riso senza che potessimo capire perché. All’inizio avevo fatto un colloquio con lui alla presenza di un interprete curdo, che però parlava anche inglese. Avevo interpellato anche un ‘avvocatessa del Kurdistan, non sapendo che nel Kurdistan iracheno non parlano la stessa lingua del Kurdistan turco.
Un colloquio difficile, che mi aveva riportato a quelli fatti sulle navi di Mare Nostrum, quando per parlare con qualcuno avevo bisogno di almeno due interpreti, passando attraverso le varie lingue.