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Dottori a quattro zampe...

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Il lavoro monotono, la scuola snervante. L'autobus che si fa aspettare, il traffico bloccato, il posteggio che non si trova mai.

Le scale interminabili, il vicino insopportabile, le chiavi di casa che si incastrano nei pantaloni. L'uscio di casa che si apre …e una enorme massa canina che ululando si avventa contro, ci butta a terra e comincia a leccare ogni centimetro quadrato di pelle nuda: solo per farsi perdonare di aver masticato le nostre ciabatte preferite? Può essere, può essere; ma può anche essere che il coinquilino a quattro zampe ci stia sottoponendo, a nostra insaputa, ad una seduta di Pet therapy.

Il lavoro monotono, la scuola snervante. L'autobus che si fa aspettare, il traffico bloccato, il posteggio che non si trova mai. Le scale interminabili, il vicino insopportabile, le chiavi di casa che si incastrano nei pantaloni. L'uscio di casa che si apre …e una enorme massa canina che ululando si avventa contro, ci butta a terra e comincia a leccare ogni centimetro quadrato di pelle nuda: solo per farsi perdonare di aver masticato le nostre ciabatte preferite? Può essere, può essere; ma può anche essere che il coinquilino a quattro zampe ci stia sottoponendo, a nostra insaputa, ad una seduta di Pet therapy.

Pensateci bene: non vi sembra che lo stress accumulato stia svanendo? Che la pressione stia calando? Che le tensioni muscolari accumulate si stiano allentando? Non vi sentite maggiormente in pace con voi stessi e con il mondo? Se la risposta è si, non ci sono dubbi: benvenuti nella grande famiglia di chi utilizza la terapia animale.

Chi ama gli animali lo sa bene. Accarezzare il nostro gatto che, acciambellato sulle nostre ginocchia, ci fa le fusa, giocare a rincorrersi con il proprio cane, spazzolarlo, dargli da mangiare, accudirlo quotidianamente, rilassa, rende più sereni, insomma, fa bene alla nostra salute. Lo conferma la miriade di psicologi, psicanalisti, sociologi, educatori, medici e veterinari che oggi sono alle prese con questa nuova forma di terapia adatta non solo alle persone deboli, malate, handicappate o semplicemente anziane, ma a chiunque ami gli animali. Dal rapporto con gli animali scaturisce un rapporto sereno, spontaneo, sincero, corrisposto e tanto appagante da diventare un aiuto al benessere mentale e fisico dell’uomo, specialmente in quelle situazioni in cui, per varie ragioni, i contatti interpersonali sono alquanto limitati.

Soprattutto oggi, che si vive in ambienti devitalizzati come la città, in nuclei familiari ridottissimi, quando non si è single, tocchiamo con mano che l’uomo ha bisogno degli animali, perché il loro rapporto è chiaro, pulito, semplice. Un animale familiare diventa un nuovo ma, al tempo stesso, vecchissimo mezzo di equilibrio mentale e di contatto con la naturala presenza di un animale può portare una ventata di vivacità. Ecco allora che può diventare il tramite per valicare il muro del silenzio costruito dal figlio adolescente, concentrare i discorsi di tutti innescando il dialogo. Anche nella vita di coppia un cane o un gatto hanno spesso una funzione molto delicata, compensando in parte la mancanza di un bambino o il vuoto che hanno lasciato i figli che si sono sposati.”

La storia dell’utilizzo degli animali come coadiuvanti alle normali terapie mediche può essere fatta risalire già al tempo della preistoria. Nell’Egitto dei Faraoni il cane era sacro al dio Anubis, protettore della medicina.
Divinità dei popoli Sumeri, Caldei e Greci erano affiancate, nella la cura di malattie, dai propri animali da compagnia, come nel caso del gallo di Esculapio o il cane di San Rocco.

Anche la leggenda greca (menzionata da Omero) narra che Asclépio, dio greco della medicina, figlio di Apollo e di Arsinoe, esercitava il proprio potere attraverso gli animali a lui sacri: cani e serpenti (alla sua morte, voluta da Zeus per aver risuscitato dei morti, Asclépio venne trasformato nella costellazione del Serpentario).
Si raccontava, infatti, che alcune persone che avevano perso la vista ad entrambi gli occhi si recavano dal dio della medicina e chiedevano di essere leccati dai cani, sacri ad Asclépio, per via del potere guaritore della loro lingua.
Questa credenza, tramandata nel corso dei secoli, si riflette oggi in un antico proverbio francese: “Langue de chien, serte de medicine.” (La lingua del cane serve alla medicina).
Anche presso il popolo persiano erano diffuse delle credenze circa i poteri, per così dire “sovrannaturali” dei cani.

Per questo tutti i cani godevano di assoluto rispetto , protezione e cure.

Nel IX secolo a Gheel, in Belgio, degli animali vennero introdotti per curare dei disabili, tentando così un primo approccio terapeutico, costituendo il primo importante tentativo di animal assisted activity therapy della storia.
Tuttavia il primo studio realmente accertato circa l’utilizzazione scientifica degli animali a scopo terapeutico a lungo termine risale al 1792, quando in Inghilterra, presso il York Retreat Hospital, lo psicologo infantile William Tuke , insieme ad alcuni suoi collaboratori, cominciò a curare i propri pazienti (malati mentali e lunatici) con dei metodi “umani” e non più barbari.

La premessa da cui partivano questi studi preliminari sulla animal-facilitated therapy era che le persone mentalmente malate e disturbate potevano ritornare in possesso delle loro ordinarie facoltà se venivano stimolati e incoraggiati verso attività alternative che permettessero di recuperare quell’autocontrollo che era stato perso, attraverso le tecniche di giardinaggio e di cura degli animali, fonte di stabilità e di equilibrio.
Inizialmente ci si avvalse di piccoli animali che potessero adattarsi facilmente all’ambiente ospedaliero e che non esigessero cure impegnative , come conigli e gallinacei domestici in genere (polli, anatre, oche, ecc.) (Butstad, 1979).

Nel 1859 Florence Nightngate notò come dei piccoli animali potevano impiegati come compagni per i malati cronici, specialmente se a lungo termine.
Una semplice gabbia di uccelli era fonte di svago per coloro che erano costretti a rimanere confinati nella stessa stanza per molti anni. Spazzolare e accudire questi piccoli animali incoraggiava i pazienti a fare lo stesso con sé stessi.
Nel 1867 (75 anni dopo l’inizio della terapia al York Retreat) a Bielefeld, in Germania, venne fondato il Bethel Hospital: anche qui alcuni animali vennero utilizzati come parte integrante nel trattamento di recupero per epilettici.

Originariamente ideato per ospitare solo degenti sofferenti di epilessia, Bethel divenne poi un grande centro di accoglienza per persone disabilitate in genere con vari problemi, e gli oltre 5 mila pazienti (secondo una prima stima del 1977) venivano curati con l’ausilio degli animali.
Anche qui, accanto ai classici cani, gatti e cavalli, si poteva contare sulla presenza di piccoli animali da allevamento: venne addirittura costituita una prima fattoria interna al centro.

Il primo utilizzo degli animali a scopo terapeutico negli ospedali negli Stati Uniti risale al 1919, quando il Segretario del Ministero degli Interni, Franklin K. Lane, scrisse al Sovrintendente del St. Elisabeth’s Hospital a Washington, Dr W.A. White, suggerendo l’introduzione di cani per quei pazienti che avevano riportato gravi forme di depressione e schizofrenia in seguito alla I Guerra Mondiale.

Il Segretario Franklin aveva preso spunto in ciò da quanto era già stato sperimentato nello stesso periodo in Francia, dove pazienti in stato di shock, insani, fisicamente provati e mentalmente turbati in seguito agli orrori del conflitto, avevano ritrovato quel clima di serenità e di affetto giocando con dei cani. Il Dr. White fu felice di sperimentare questo episodio, con grande soddisfazione quando ne poté constatare personalmente la riuscita.
Un secondo caso di applicazione della animal-assisted therapy negli ospedali degli Usa è quello che fu realizzato nel 1942 dalla Croce Rossa presso il Army Air Corps Convalescent Hospital, a Pawling, New York.

Questo ospedale ospitò tutti quei soldati, per lo più aviatori, che avevano preso parte alla II Guerra Mondiale; anche qui, come nel caso della I, i pazienti avevano riportato gravi lesioni a livello fisico ma anche turbe emotive e stati di shock. I pazienti vennero incoraggiati a lavorare con maiali, cavalli, pollame e bestiame in genere. Accanto a questi, animali meno ingombranti come rane, serpenti e tartarughe (Netting,Wilson & New, 1987 ).
Nel 1966 la terapia si estese anche alla Norvegia, dove i coniugi Erling Stordahl e sua moglie Anna, fondarono un centro di recupero per non vedenti.

Grazie al contributo di fisioterapisti e di volontari, il centro ospitò cani e cavalli come componente fondamentale del regime terapeutico. Dopo un periodo di cura i pazienti erano in grado di sciare e di andare a cavallo. Questo centro in Norvegia è attivo tuttora.
Ma se oggi la medicina e la scienza in generale hanno deciso di approfondire il tema della relazione uomo-animale da compagnia, i cosiddetti “pet”, il merito è in larga parte da attribuire ai pionieri di questa tecnica innovativa e complessa allo stesso tempo: lo psichiatra infantile Boris Levinson e i coniugi Samuel & Elisabeth Corson.

Si calcola che in Italia su 20 milioni di famiglie 9 abbiano almeno un animale. Il più amato è il gatto: ne possiede uno il 21% dei nuclei familiari e sono circa 7 milioni i mici che vivono in appartamento, mentre i cani si aggirano intorno ai 4 milioni e mezzo.

Inoltre la clinica degli animali da compagnia della Pennsylvania ha verificato che il 98% dei possessori di “pet” parla ai loro animali, l’80% gli si rivolge come fosse una persona e non un animale, infine il 28% gli fa delle confidenze e discorre con loro dei fatti del giorno .Certo queste sono cifre davvero interessanti che spingono a chiederci quale sia oggi la reale funzione degli animali da compagnia.

La risposta c’è: si chiama pet therapy , la una nuova scienza nata intorno agli anni sessanta negli Stati Uniti che prevede l’uso co–terapeutico degli animali per il recupero e il mantenimento della salute umana attraverso un rapporto interpersonale tra l’uomo e l’animale.
Tale metodica, che viene definita anche “terapia dolce”, in considerazione degli effetti benefici che si possono riscontrare sulla salute dei pazienti ai quali viene praticata sotto il profilo psico–emozionale, con sintomi di attenuazione dell’ansia, dello stress o di compensazione dei vuoti affettivi e solitudine, insomma dei mali del nostro tempo, può comportare condizioni vantaggiose anche per il sistema cardiocircolatorio.

Si è evidenziato, infatti, come la sopravvivenza dei pazienti affetti da infarto miocardico, risulti correlata in modo significativo con il possesso degli animali da compagnia, in quanto è stato rilevato che coloro che avevano un animale in casa registravano una maggiore possibilità di vivere più a lungo dopo l’infarto, a prescindere dalla gravità dell’episodio. Gli animali rappresentano un’importante fonte di supporto sociale, capace di agire come un efficace modulatore dello stress quotidiano in difesa della salute.

Prendendo atto poi che la popolazione italiana sta costantemente invecchiando e che la società del domani dovrà farsi carico di interventi sanitari, ricreativi e culturali, oltre che economici, risulta evidente che la pet therapy possa rappresentare un solido strumento di aiuto dell’anziano e, più in generale, dell’intera collettività. Prendiamo in considerazione un’altra fascia sociale, cosiddetta a rischio: l’infanzia.
Certo non possiamo non tener conto dell’impoverimento sociale del contesto in cui è costretta a vivere la maggior parte dei bambini. Sempre più spesso la figura del genitore è surrogata dall’asilo, dalla baby sitter o dalla televisione, con il rischio di produrre non solo un profondo e latente malessere emozionale e psicologico, ma anche veri e propri disturbi fisici.
Purtroppo il rifugio nella televisione è sempre di più uno dei sintomi più evidenti e preoccupanti di questa solitudine che vede coinvolti anziani, adulti, ma soprattutto bambini. Grazie al rapporto col suo animale familiare il bambino acqisisce un immagine del mondo priva di violenza, così invece ampiamente diffusa dalla televisione.
In questo contesto, la presenza di un animale può rappresentare un utile presidio terapeutico.

La pet therapy non è una terapia a sé ma di supporto a quelle mediche, che non fa miracoli anche se permette di raggiungere effetti sbalorditivi: accarezzare e guardare gli animali stimola la fantasia dei bambini, la loro curiosità e la loro capacità di osservazione, fa sentire il bambino in qualche modo partecipe e accettato.
Questa tecnica viene impiegata soprattutto per far uscire i bambini autistici o depressi dal loro isolamento psicologico, ma svolge un’azione benefica anche su persone affette da altri tipi di turbe psichiche o fisiche, disturbi di origine psicosomatica (problemi di digestione, cefalee, anoressia), ma anche di malanni fisici veri e propri, perché è innegabile che una situazione psichica positiva influisce favorevolmente anche sugli aspetti sanitari.

Le attività e le terapie svolte con l’ausilio degli animali rappresentano un campo delicato e difficile dove diverse professionalità devono interagire. Per la riuscita della pet therapy è quindi necessario che ognuno svolga il suo ruolo senza ignorare quello dell’altro. Inoltre, se l’oggetto dell’attenzione è il paziente, non meno attenzione deve essere data alle necessità dell’altro essere vivente coinvolto nella terapia: l’animale. Questo obiettivo può essere raggiunto solo conoscendolo.
Inoltre, anche senza produrre danni, se mal utilizzata la pet therapy può essere inefficace. Non basta infatti affidare un gatto o un cane ad una persona sofferente od ammalata per vederla guarire quasi automaticamente.

A partire dal 1980 il programma di pet therapy è stato più correttamente suddiviso in fasi distinte tra loro:
la AAA (Animal–Assisted Activities), la AAT (Animal– Assisted Therapy) e infine la HASS.
Tuttavia, nonostante i termini di pet therapy e di pet-facilitated therapy siano ormai stati sostituiti da queste accezioni più moderne e specifiche, nel gergo parlato continuano ad essere largamente adoperati.

Secondo la distinzione fornita dal Dottor Dennis Turner, la prima, la AAA provvede ad apportare benefici motivazionali, educazionali e ricreativi, mirando al miglioramento della qualità della vita di alcune categorie di persone come anziani, ciechi, malati terminali, ecc. La AAA si esprime in una varietà di azioni condotte da professionisti, paraprofessionisti e volontari in associazione con animali che presentano particolari criteri e caratteristiche (ovviamente il personale deve possedere specifiche conoscenze sugli animali e sulla popolazione con cui interagisce).
Un esempio di AAA (che può essere sia attiva che passiva: passiva in quanto la persona, pur non toccando l’animale, trae ugualmente benefici dalla sua presenza o dai suoni da lui emessi) può essere l’introduzione di un acquario o di una gabbia di uccelli in uno studio medico o dentistico. Infatti la varietà di colori dei pesci, il loro rincorrersi all’interno della vasca, il loro simpatico suono prodotto dalle bollicine, così come il cinguettio degli uccelli, provoca uno stato di relax profondo e intenso. Al punto che molti dentisti hanno sperimentato con successo questa tecnica sui loro pazienti, evitando di ricorrere all’anestesia.

La AAT, invece, è un vero e proprio intervento diretto nel quale animali che presentano particolari caratteristiche sono parte integrante del processo di trattamento per pazienti autistici, depressi, con problemi psicofisici.
L’AAT è stato costituito con lo scopo preciso di promuovere e migliorare le funzioni fisiche, sociali, emozionali e cognitive dell’uomo. I benefici fisici sono per lo più quelli legati ai problemi di elevata pressione arteriosa, disfunzioni cardiache (Baun, Bergstrom, Langston & Thomas ; Friedmann ; Friedmann & Thomas ; Thomas K. ), rigidità muscolare, forme di sclerosi che impediscono i normali movimenti fisici, scarso e difficile funzionalità degli arti sia superiori che inferiori, ecc. Invece tra i benefici psichici possiamo citare un incremento dell’autostima, della socializzazione e della comunicazione in generale, la gratificazione nel dare e ricevere amore gratuitamente, il senso di protezione e di sicurezza, la stimolazione sensoriale, la riduzione dei livelli di ansia, di stress e di depressione, ecc. (Messent ; Wilson ; Brickel ).

Anche semplicemente spazzolare o accarezzare un animale costituisce un ottimo esercizio fisico per chi ha degli handicap motori agli arti superiori e in particolar modo alla mano. Accarezzare un animale comporta una distensione dei muscoli palmari e dorsali della mano nonché dell’intero arto e quindi un’ottima alternativa alle classiche tecniche riabilitative.

Nella AAT gli animali vengono utilizzati al solo scopo terapeutico, nelle scuole, nelle prigioni, negli ospizi, negli ospedali, per i programmi di recupero dei tossicodipendenti o per la riabilitazione delle persone affette dal virus HIV, da spina bifida, da morbo di Alzheimer, da sindrome di Down, ecc. Purtroppo, nonostante queste persone si siano viste aprire nuovi orizzonti, questa tecnica non è panacea per tutte le malattie ma va usata a ragion veduta: essa non è universalmente efficace, ossia non è appropriata a tutti gli individui, per ragioni che verranno spiegate di seguito. Inoltre, mentre i risultati della AAA sono per lo più soggettivi, i risultati realizzati con la tecnica della AAT possono essere osservati e misurati empiricamente.

HASS (Human-Animal Support Services) che non è una vera e propria terapia, ma consiste nel migliorare e incoraggiare la responsabilità e le interrelazioni tra l’uomo, gli animali e la natura.
Con il termine pet therapy si indicano ambedue le attività, ma come tutte le parole utilizzate tra gli addetti al lavoro, il nuovo termine ha il vantaggio di essere breve e di facile memorizzazione.
Ha il difetto, però, di dare luogo ad equivoci: ad esempio, i non addetti ai lavori non hanno chiaro chi sia il fruitore della terapia (se l’animale o l’essere umano) e, giustamente, ritengono che gli animali coinvolti nella terapia siano sempre animali da compagnia; in realtà non tutti sanno che anche animali da allevamento (pecore, capre, animali da cortile in genere) nonché uccelli, serpenti, pesci, possono essere impiegati.

Al contrario, utilizzare per convenzione un termine come “terapia per mezzo degli animali domestici”, per quanto lungo possa essere, chiarisce subito che gli animali sono il mezzo terapeutico, mentre gli esseri umani sono l’oggetto. Inoltre, come già sottolineato precedentemente, le attività e le terapie per mezzo degli animali domestici non devono essere considerate un intervento alternativo esclusivo, bensì una co-terapia da affiancare ad altri trattamenti medici tradizionali. E’ per questo motivo che quando si parla degli animali utilizzati a tali fini si usa l’appellativo di “co-terapeuti”, intendendo cioè che essi coadiuvano l’opera del terapeuta (il medico, lo psicologo, il fisioterapista, ecc.) nell’assistenza e nella cura del paziente.

L’espressione “miglioramento della qualità della vita” sta a significare l’incrementare, per mezzo dell’animale, dello stato generale di benessere di alcune categorie di persone. Ad esempio gli anziani o i malati terminali che soffrono spesso a causa della solitudine in cui la loro posizione li costringe.
Un animale in questo caso, offre amicizia, compagnia, è fonte di allegria e spesso stimola e costringe al gioco; inoltre, come è stato dimostrato, facilita i contatti sociali: due o più persone, che normalmente non hanno scambi di alcun genere, grazie alla presenza dell’animale possono ritrovarsi a discutere insieme dei problemi più comuni.

L’obiettivo della “terapia”, invece, è quello di eliminare uno stato di malattia, o ridurre gli effetti negativi della salute del paziente. Rispetto alle attività svolte con l’ausilio degli animali, la differenza è che si agisce su una malattia che è stata diagnosticata seguendo un preciso formulario terapeutico. Oggi le prove dell’effettivo miglioramento di molti pazienti, grazie all’utilizzo di questa nuova tecnica rivoluzionaria, stanno lentamente riempendo le pagine di molti libri di letteratura scientifica.
Certo è stato compiuto un gran passo, da 25 anni a questa parte, considerando il fatto che prima d’ora della possibilità di un approccio scientifico circa l’argomento se ne poteva parlare solo in termini di aneddoto.
Nell’ambito delle terapie attuate con l’ausilio degli animali può essere collocata anche la riabilitazione equestre, meglio conosciuta con il termine comune di ippoterapia. Se analizziamo il termine nel suo significato semantico, anche questo appare inesatto, poiché l’ippoterapia non è altro che uno dei tanti settori della riabilitazione equestre. Purtroppo esso è entrato nell’uso comune del linguaggio parlato, e viene genericamente utilizzato per indicare le terapie per mezzo del cavallo.

Analizzando più attentamente le professioni coinvolte, sia che si parli in termini di terapia che di miglioramento della qualità della vita, la figura coinvolta in prima linea è quella del medico e/o lo psicologo, poiché i fruitori della pet therapy sono sempre esseri umani, indifferentemente dal fatto che siano anziani, non vedenti, audiolesi, pazienti cronici o pazienti con handicap mentali e/o fisici.
Saranno infatti queste due figure, qualora ritengano necessario tale approccio, a valutare e a determinare gli animali e il modo in cui devono essere impiegati. Ovviamente essi devono avvalersi della consulenza e della collaborazione di altre figure professionali. Tra questi, quella essenziale del veterinario, che ha il delicato compito di selezionare l’animale, controllarne lo stato di salute e valutare nel tempo se l’animale è indicato o meno al compito che gli è stato affidato. Il terapeuta ha il compito di verificare l’effettiva necessità dell’utilizzazione della pet therapy nel caso specifico e di valutare l’efficacia della terapia nel tempo.
E’ il veterinario, che collabora con l’istruttore, nella scelta dell’animale e nell’analisi dell’interazione comportamentale; inoltre si occupa dell’aggiornamento dello stato vaccinale e della prevenzione delle zoonosi, malattie che in questo caso diventano un elemento di estrema importanza per l’equilibrio e il benessere della coppia uomo-animale in quanto possono costituire un elemento di disturbo non indifferente.
L’istruttore, seleziona l’animale secondo le indicazioni del terapeuta, lo addestra, monitora accuratamente nel tempo l’interazione tra l’animale, il paziente e l’ambiente per verificarne il corretto andamento.
Le specificità d’intervento di ogni figura professionale permettono così un approccio globale sia diagnostico che terapeutico nei confronti della coppia uomo-animale.

Il veterinario è affiancato, oltre che dall’istruttore, da un etologo, oppure un biologo, o qualunque altra figura professionale che disponga di un’approfondita conoscenza del comportamento animale (meglio ancora se ha esperienza nel campo della ricerca), il cui compito è quello di istruire i pazienti, i familiari a cui è richiesta collaborazione, nonché gli altri operatori (medico e psicologo compresi) circa il comportamento degli animali utilizzati, su quanto ci si può e ci si debba aspettare da loro, sui criteri di valutazione. Nel caso in cui il paziente è affetto da handicap fisico, la presenza del fisioterapista è indispensabile.
Infine, ma non ultimo tra tutti, l’addestratore che svolge un ruolo cruciale in quanto deve preparare l’animale.

Altre figure estremamente utili, se non imprenscindibili, sono il pedagogista, l’assistente sociale, un tutore o curatore per gli eventuali pazienti minorenni o incapaci d’intendere e di volere, avvocati esperti in diritto di famiglia e chiunque, a titolo di volontariato, voglia dare un valido contributo alla terapia.
La pet therapy, a livello psicologico, permette di prendere coscienza di fattori importanti, come la capacità di impegnarsi, un maggiore autocontrollo, maggiore facilità e potenzialità nella comunicazione e nella socializzazione, nella capacità di dare e ricevere amore, collaborazione e gratificazione.

Ma come funziona la pet therapy?
Le ricerche che si stanno accumulando in merito a questa terapia indicano diversi tipi di modalità di azione che quasi sempre si potenziano tra loro e che possono venire riunite nei seguenti meccanismi:

Meccanismo Affettivo-Emozionale

E’ forse il più importante meccanismo d’azione salutare nell’ambito del rapporto uomo-animale e sul quale si basa gran parte delle applicazioni della pet therapy. Di tipo affettivo, questo meccanismo ha una più o meno forte base emozionale. Anzi, quanto maggiore è il legame emozionale, tanto più intensi sono i risultati benefici. L’emozione agisce in molte malattie ma ovviamente non si tratta soltanto di emozioni determinate dal rapporto uomo-animale. Secondo le più recenti vedute la pet therapy, almeno in parte, opera attraverso le stesse vie biochimiche della risposta di rilassamento. In altri termini un rapporto uomo-animale tranquillante, rassicurante, positivo e quindi rilassante interviene sulla produzione di adrenalina ed altri ormoni corticosteroidi o dello “stress” con il risultato finale di una minore pressione arteriosa, un ritmo cardiaco e respiratorio più lento e tutta una serie di altri benefici.

Stimolazione psicologica

Un intenso rapporto uomo-animale rappresenta un forte stimolo psicologico, che coinvolge diversi settori della psiche umana: comportamento sociale e meccanismi di relazione, componenti caratteriali ed aspetti cognitivi. La presenza partecipata di un animale induce la persona ad “uscire” dai suoi problemi, interessarsi all’animale e tramite questo anche agli altri. Da questa partecipazione scaturiscono molti effetti benefici, anche indiretti. Doversi interessare all’alimentazione di un animale, ad esempio, porta anche interessarsi alla propria alimentazione (oltre ad altri aspetti della vita di solito rifiutati), un elemento importante per molte malattie (per citarne una, l’anoressia) che danno inappetenza e svogliatezza.

Meccanismo ludico

Un aspetto molto importante per comprendere come agisce la pet therapy è il gioco, il divertimento e non raramente il ridere, che spesso s’instaura nel rapporto uomo-animale. Quando un ammalato gioca con un gatto, o ride per il modo buffo in cui si comporta un cane, aumenta le sue possibilità di difesa e quindi di guarigione. E’ dimostrato, infatti, che il gioco induce a movimenti e il movimento è la miglior ginnastica.

Meccanismo Psico-Somatico

E’ sempre più evidente che la psiche influisce sull’organismo e che moltissime malattie cosiddette fisiche hanno alla base una componente psichica. Attraverso i meccanismi affettivi, emozionali, di stimolazione psicologica e ludici, frequentemente associati, la pet therapy svolge importanti attività anche di tipo psicosomatico.

Meccanismo Fisico

La componente fisica della pet therapy è indubbiamente importante e viene sfruttata in diverse occasioni. Tipici sono gli esempi dell’equitazione terapeutica o ippoterapia, dei giochi in acqua insieme ai delfini o delfinoterapia, delle passeggiate regolari e quotidiane alle quali si deve obbligatoriamente assoggettare chi possiede un cane.

Meccanismi Associati

I singoli meccanismi agiscono quasi sempre fra loro, associati. Ad esempio nella ippoterapia e delfinoterapia la componente fisica si associa sempre a quella emotiva, di interesse per l’ambiente, per gli altri e per il gioco. E’ questo il motivo per cui una passeggiata a cavallo è sempre più stimolante e quindi fisiologicamente più salutare di una gita in bicicletta e senza dubbio migliore, soprattutto da un punto di vista psico-sensoriale, di una solitaria pedalata su di una “ciclette” posizionata al centro di una stanza.

Finalità psicologiche-educative

Trattamento dei disturbi comportamentali soprattutto nei bambini (cattiva o insufficiente socializzazione, inadeguato rendimento scolastico, senso di insicurezza, ecc.);
Riduzione dell’aggressività in situazioni critiche (manicomi criminali, prigioni, luoghi di detenzione in genere, ecc.);

Finalità psichiatriche

Trattamento della Sindrome di Deprivazione (Autismo);
Trattamento e prevenzione delle Sindromi Depressive negli anziani;
Stati di ansia e tensione neuro-psichica;

Finalità mediche

Convalescenze a seguito di malattie;
Ipertensione;
Recupero dei cardiopatici;
Malattie croniche, soprattutto di tipo neuro-muscolare;

Finalità motorie-riabilitative

Trattamento e riabilitazione per deficit motori di diverso tipo (ippoterapia).

Nell’ambito scolastico la pet therapy è un intervento terapeutico di recupero mirato al miglioramento delle capacità psico-fisiche sociali emozionali e/o cognitive dei portatori di handicap e di alunni con gravi difficoltà di apprendimento per mezzo di animali dotati di caratteristiche specifiche.Inoltre fa crescere gli alunni in autonomia e senso di responsabilità; fa maturare il bambino nei rapporti interpersonali e relazionali; introduce il bambino ad una comunicazione mirata ed immediata; restituisce motivazione ed interesse verso la scuola a quegli alunni che presentano gravi difficoltà generalizzate di apprendimento.
In ambito scolastico, non è molto corretto parlare né di Animal-Assisted Therapy, né tantomeno di Animal-Assisted Activity, bensì di “progetti educativi” attraverso gli animali.

Secondo il medico, la classica paura della scuola che si presenta al sesto anno di vita può essere felicemente risolta con la cooperazione di un medico a quattro zampe. L’animale, infatti, aiuta il bambino a superare il delicato passaggio del linguaggio orale al linguaggio scritto, a lasciare l’universo dell’espressione gestuale per entrare nel mondo convenzionale dei segni, dei codici, delle lettere. Il meccanismo di questo passaggio è semplice: l’animale, attraverso il gioco e la comunicazione non verbale, esercita sui bambini difficili o nei momenti critici della crescita una funzione importante, sia educativa che terapeutica. Per i più piccoli, prendersi cura dei loro amici a quattro zampe stimola il senso di responsabilità, aiuta l’acquisizione spontanea di conoscenze, crea un canale per socializzare in modo più immediato e semplice. Inoltre, l’animale, a differenza dei genitori e dei maestri, non giudica e quindi non inibisce.

Un modello di applicazione della pet therapy è stato proposto anche in una determinata patologia, il Disturbo d’Ansia Generalizzato, ossia quella situazione sintomatica caratterizzata da tensione ed irritabilità.

c) La delfinoterapia
La delfinoterapia è stata messa in pratica fin dagli anni ‘80 negli USA, da B. Smith e D. Nathanson entrambi docenti presso la Florida Int. University di MiamiTuttavia l’ipotesi attualmente più accreditata è quella che attribuisce l’efficacia della delfinoterapia ad un complesso di fattori, che vanno dall’immersione nell’acqua al contatto fisico e allo scambio giocoso con gli animali. L’immersione nell’acqua è di per sé un’ esperienza particolare, per il legame concreto, e l’acqua salata aiuta a sciogliere alcune rigidezze corporee che spesso corrispondono a blocchi emotivi; fornisce un sostegno che facilita l’equilibrio, la fluidità del movimento e le sensazioni di rilassamento che ne derivano.

Il flusso dell’acqua, infine, offre una stimolazione tattile che migliora la percezione del proprio corpo. La presenza dei delfini sembra moltiplicare gli effetti positivi del contatto con l’acqua. Tutte le testimonianze raccolte indicano che l’incontro con queste creature è un’esperienza eccezionale, profondamente coinvolgente a livello psichico, forse anche a motivo della componente immaginaria e fantastica che ha dato origine a tanti racconti mitologici. Con il suo aspetto “sorridente”, i suoi movimenti fluidi, il suo istintivo rispetto per lo spazio interpersonale (che fa sì che non si avvicini troppo a chi mostra timore) il delfino viene percepito in modo amichevole e meno minaccioso o giudicante degli esseri umani.

Nello stesso tempo offre gratificanti opportunità di scambio, basate sul gioco e sul contatto fisico, che portano la comunicazione a un livello accettabile anche per le persone più chiuse in se stesse, come nel caso degli autistici. Il gioco con un delfino, inoltre, non è mai monotono o ripetitivo. La grande intelligenza di questi animali li rende capaci di inventare “trucchi” sempre nuovi e adeguati alle circostanze, tanto da riuscire a volte a spezzare anche le stereotipie di persone, come quelle autistiche, appunto, che sembrano imprigionate in una gabbia di comportamenti ripetitivi.


Andare a cavallo è diventata una tecnica molto importante nella storia dell’uso degli animali, i cosiddetti “pet”, a scopo terapeutico. La tecnica dell’hyppotherapy era stata addirittura già menzionata dalla letteratura nei secoli passati.

Parlare di pet-therapy non vuol dire comunque affermare che basta regalare un animale a chicchessia per risolvergli problemi legati a gravi mancanze o colpevoli vuoti. Inoltre il tutto andrebbe sempre fatto seguendo le direttive degli esperti del settore .Fortunatamente in Italia gli enti che si occupano del tema stanno aumentando in modo esponenziale. Canili e rifugi sono pieni di potenziali terapisti, forse ancora grezzi, ma sicuramente desiderosi di mettersi all'opera; certo, la coesistenza con un terapista animale non è semplice, soprattutto per la sua capacità di dimostrare i propri sentimenti in sincerità e senza tanti giri di parole; ma forse è proprio questo il bello della Pet therapy: quello di essere aiutati da un animale a ritrovare almeno un po' della nostra umanità.

Per approfondire:

Ballarini, G. "Animali Amici della Salute- Curarsi con la Pet therapy", Xenia Ed., Milano 1996;

Del Negro, E. "Pet therapy: un metodo naturale- Un programma di riabilitazione e rieducazione psicoaffettiva" FrancoAngeli, Milano 1998;

Giacon, M." Pet therapy. Psicoterapia con l’aiuto di “amici” del mondo animale" Edizioni Mediterranee, Roma 1992;

Merluzzi, A. "Pet therapy: aiutarsi con gli animali" Omega edizioni, 2000;

Fossati, R. "Guida alla Pet therapy. Verso il benessere psicofisico con gli animali da compagnia" Editoriale Olimpia, 2003;

Giacon, M. "Pet therapy. Psicoterapia con l'aiuto di "amici" del mondo animale" Edizioni Mediterranee, Roma 1992;

De Lubersac, R., Lallery, H.,"Rieducare con l’equitazione" IGIS edizioni, Milano;

Battaglia L., "Etica e diritti degli animali", Editori Laterza 1999;

Del Negro E., "Pet therapy". Il metodo Zara: un programma di riabilitazione psicoaffettiva, ed. Franco Angeli, 1998, Milano;

Giuseppini, M., "Uomo e cane uniti per il benessere", La rosa blu, luglio 2000.

A cura di Lara D'Orazio

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