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Attaccamento

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“Ogni individuo costruisce modelli operativi del mondo e di se stesso in esso, con l’aiuto dei quali percepisce gli avvenimenti. Nel modello operativo del mondo che ognuno si costruisce, una caratteristica chiave è la nozione che abbiamo di chi siano le figure di attaccamento e di quanto accettabili o inaccettabili noi siamo agli occhi delle nostre figure di attaccamento”. John Bowlby

attaccamento

Il termine “attaccamento” è stato impiegato dalla psicoanalisi per indicare il forte legame affettivo che unisce il bambino alla madre.

Fu definito da Freud “inconfrontabile e inalterabile come primo e più forte oggetto d’amore, che fungerà da prototipo per tutte le successive relazioni amorose in entrambi i sessi”.

La formazione dell’attaccamento è l’evento più importante che si verifica nella fase orale, in cui domina la relazione diadica privilegiata con la madre, su cui il bambino investe una buona quantità di energia libidica.

È il concetto di attaccamento emotivo verso la madre introdotto da Freud a ispirare il lavoro di Spitz, nel 1945, sulla relazione disturbata tra madre e bambino, fonte di patologia mentale del minore.

Il più importante contributo alla teoria dell’attaccamento è però quello di John Bowlby che definisce l’attaccamento come “qualsiasi forma di comportamento che porta una persona al raggiungimento o al mantenimento della vicinanza con un altro individuo differenziato o preferito, considerato come più forte o più esperto”.

Per una maggiore comprensione del suo pensiero è bene sottolineare che egli ha avuto una formazione psicoanalitica e fu il primo a parlare di attaccamento, differenziandolo dalla relazione di attaccamento, e considerandolo come una parte del complesso sistema della relazione.

Questa teoria costituisce un importante punto di partenza per la comprensione dello sviluppo umano, della personalità e delle relazioni oggettuali.

Bowlby propone infatti un modello di sviluppo dell’individuo svincolato dal concetto di “fase” tipico della psicoanalisi classica, sostituendolo con un modello da lui denominato “epigenetico” secondo cui per ogni individuo sarebbero possibili più linee di sviluppo e il cui risultato dipenderebbe dall’interazione dell’organismo con il proprio ambiente.

A differenze di Freud con che considerava la mente come il sistema motivazionale delle pulsioni, tale per cui le dinamiche interazionali erano il risultato delle vicissitudini pulsionali, Bowlby propone invece un modello della mente di tipo relazionale, il cui elemento centrale è la qualità dell’accudimento, intesa come disponibilità e capacità di risposta materna.

L’opera principale di Bowlby è infatti “Attaccamento e perdita”; considerare la fame come pulsione primaria che regola la relazione di “dipendenza” fra madre e bambino ha, secondo Bowlby, impedito alla psicoanalisi di osservare e teorizzare il significato biologico e psicologico del bisogno di protezione del bambino, del legame di attaccamento che si crea fra il bambino e chi si prende cura di lui, e il modo in cui quel legame determina lo sviluppo dell’individuo.

Grazie all’osservazione dei comportamenti dei bambini separati dai loro genitori, integrata con alcune osservazioni etologiche, ha postulato l’esistenza di una tendenza innata e autonoma nell’uomo, come negli animali, a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta ogni volta che si vivano situazioni di pericolo, stress e dolore.

Egli ha chiamato questa tendenza Attaccamento. Effettua però una distinzione tra l’attaccamento inteso appunto come disposizione innata, e il comportamento di attaccamento che la persona mette in atto per ottenere, mantenere, recuperare la prossimità con la figura da cui riceve protezione.

Uno degli aspetti distintivi della teoria dell’attaccamento è la peculiare elaborazione che bowlby fornisce a proposito dell’interazione tra assetto motivazionale, capacità rappresentazionali, ed esperienze, atta a spiegare la continuità dei modelli di relazione appresi nell’infanzia.

Lo sviluppo affettivo è infatti legato al modo in cui il bambino elabora e organizza in rappresentazioni le risposte che le figure di accudimento forniscono rispetto alle sue richieste affettive.

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I fenomeni psichici non dipendono più da spinte meccaniche provenienti dall’inconscio freudiano, ma da un insieme di aspettative circa il rapporto con le figure di accudimento, che sono elaborate attraverso regole precise e da cui si originano specifiche procedure di azione.

Il comportamento di attaccamento è, da un punto di vista fisiologico, organizzato all’interno del sistema nervoso centrale da un “sistema di controllo”, che entra in funzione quando lo stimolo (l’allontanamento della figura di attaccamento) supera una certa soglia.

Il sistema di controllo, attivandosi, regola le diverse attività del soggetto finalizzate all’eliminazione dello stimolo; sono questi aspetti che formano il comportamento di attaccamento.

Quest’ultimo viene altresì definito da Bowlby come un “sistema comportamentale”, cioè un’organizzazione psicologica interna che comprende sia schemi di rappresentazione di Sé e della/e figura/e di attaccamento, sia schemi comportamentali che hanno radici biologiche diverse da quelle che regolano il comportamento sessuali, di esplorazione e alimentare.

Questo sistema comportamentale viene innescato dalla separazione o dalla minaccia di separazione dalla figura di attaccamento, e può essere eliminato o mitigato per mezzo della vicinanza: per una bassa intensità tali condizioni possono essere ad esempio il vedere la mamma o sentire la sua voce; per un’intensità maggiore può essere necessario che il bambino tocchi la madre o si aggrappi a lei; per un’intensità massima solo un prolungato vezzeggiamento farà cessare il comportamento.

Bowlby osservò infatti che se l’assenza della madre era prolungata o definitiva si va incontro alla disattivazione del sistema di controllo del comportamento di attaccamento.

Vengono cioè esclusi quei segnali e informazioni, provenienti dall’interno o dall’esterno del soggetto, che attiverebbero comportamenti di attaccamento: si tratta di un’esclusione difensiva denominata anche “comportamento di evitamento” che diventa operante anche con quelle madri che rifiutano sistematicamente il contatto fisico con il bambino o sono indifferenti e insensibili.

Il bambino e successivamente l’adulto diventano quindi timorosi di potersi attaccare a qualcuno per paura di subire un ulteriore rifiuto e come risultato si crea un blocco che impedisce di esprimere o il ricercare una relazione intima e fiduciosa, ossia un attaccamento positivo.

Il comportamento di attaccamento dipende ovviamente dal comportamento dei genitori che corrisponde ad uno schema di comportamento genitoriale, in parte innato e in parte appreso durante la relazione con i propri genitori, ma anche attraverso le interazioni con gli altri.

È importante che la madre assumi un atteggiamento positivo che dipendono dall’operare in un ambiente rilassato; dall’essere aiutata e sostenuta praticamente ed emotivamente; ed essere stata a sua volta, da bambina, oggetto di buone cure.

L’atteggiamento positivo dei genitori fornisce ai figli quella che Bowlby chiama “base sicura”, ovvero il punto di partenza da cui iniziare l’esplorazione dell’ambiente e il luogo a cui ritornare quanto si è stanchi, spaventati o impauriti.

La base sicura rappresenta il rifugio, la protezione dai pericolo e il riferimento sociale attraverso cui interpretare gli stimoli sconosciuti.

Nel corso dello sviluppo, grazie alla maturazione e alla crescita cognitiva, l’esperienza trasforma gli schemi senso-motori innati dell’attaccamento in esperienze cognitive più evolute acquisite attraverso i vissuti delle relazioni di attaccamento.

Questi schemi, detti Modelli operativi interni (MOI), sono modelli rappresentativi delle figure di attaccamento, di Sé, e delle relazioni tra Sé e le figure di attaccamento, che sono stati costruiti in base alle esperienze delle interazioni precoci con quelle figure.

Queste rappresentazioni di Sé assumono un valore regolativo e predittivo per le future interazioni e modalità di percepire se stessi e gli altri in generale.

Nella costruzione dei modelli operativi interni caratteristiche chiave sono, secondo Bowlby, “il concetto di chi siano le figure di attaccamento, di dove le si possa trovare, e del modo in cui ci si può aspettare che reagiscano”, nonché “il concetto di quanto il soggetto stesso sia accettabile o inaccettabile agli occhi delle sue figure di attaccamento”; infine “sulla struttura di questi modelli complementari sono basate le previsioni di un individuo su quanto le figure di attaccamento potranno essere accessibili e rispondenti se egli si rivolgerà a loro per aiuto”.

Per quanto riguarda gli stili di attaccamento, una prima classificazione di essi è stata formulata da Mary Ainsworth attraverso la Strange Situation, allo scopo di illustrare il funzionamento del sistema comportamentale di attaccamento nei bambini con età compresa tra i 12 e i 18 mesi, esponendoli a situazioni combinate di lieve pericolo, all’interno di un ambiente sconosciuto, dal quale la madre si allontana per un breve periodo di tempo.

È una procedura osservativa della durata complessiva di venti minuti articolata in momenti successivi: dapprima la madre e il suo bambino vengono introdotti in una stanza da gioco non familiare, una persona sconosciuta entra e si mette a giocare con il bambino; la madre esce, poi ritorna ed esce l’estraneo; la madre esce di nuovo ed il bambino rimano solo, poi ritorna l’estraneo e infine anche la madre.

Lo scopo di tali successioni è quello di aumentare lo stress del bambino in modo lento e sistematico per mettere in luce i patterns di risposta alla separazione; l’intera procedura viene videoregistrata e classificata in base alle reazioni del bambino, soprattutto in occasione dei ritorni della madre.

La Ainsworth ha sviluppato un sistema di classificazione suddiviso in tre categorie (A,B,C) per descrivere il modello di risposta del bambino.

Tipo A : Attaccamento ansioso-evitante

I bambini di questo gruppo non protestano al momento della separazione della madre, continuano infatti a giocare o interagire con l’estraneo, ed evitano attivamente la madre al momento del suo ritorno e sono inibiti nel gioco.

Le madri appaiono rifiutanti, colleriche e ostili e sono infastidite da richieste di conforto e protezione, soprattutto quando il bambino ne mostra più attivamente il bisogno attraverso il comportamento di evitamento.

Essendo la madre poco responsiva, il bambino teme quindi un rifiuto e adotterà la difesa evitante, non vivendo l’uscita e il rientro della madre come stimoli a desiderare un contatto con lei.

Tipo B: Attaccamento sicuro

Il bambino ha stabilito un legame affettivo molto forte con la figura materna, la cui presenza lo rassicura nei momenti di disagio e difficoltà.

Quando viene lasciato dalla madre può rimanere angosciato o tranquillo e al suo ritorno solitamente la avvicina cercando l’interazione o il contatto stretto, tranquillizzandosi rapidamente e tornando a giocare.

Le madri di questi bambini dimostrano sensibilità nel rispondere ai segnali che il bambino invia loro, fornendo conforto e protezione solo quando sono richieste.

Tipo C: Attaccamento ansioso-ambivalente o ansioso-resistente

I bambini di questo gruppo sono molto angosciati al momento della separazione e anche al ritorno della madre continuano a piangere nonostante i tentativi di queste di consolarli, cercando il loro contatto; adottano atteggiamenti quali scalciare, scappare, buttare via i giocattoli e continuando ad alternare stati di rabbia a momenti in cui si stringono violentemente alla madre.

Le madri appaiono imprevedibili ed incoerenti nella loro disponibilità a rispondere alle esigenze di attaccamento del bambino e spesso sono intrusive e ipercontrollanti, limitando la tendenza del bambino all’esplorazione autonoma dell’ambiente.

Pertanto, il comportamento di attaccamento del bambino persiste e tende a intensificarsi e a mescolarsi con la rabbia.

Successivamente, negli anni ’80, vennero descritti bambini appartenenti a popolazioni ad alto rischio socio-familiare, caratterizzati da comportamenti che, alla Strange Situation, non ne consentivano la classificazione nei tre pattern sopra citati.

L’impossibilità di classificare questi bambini ha stimolato Main e Solomon a individuare le loro caratteristiche e quindi a codificare il comportamento infantile nel tipo “D”.

Tipo D: Attaccamento disorganizzato-disorientato

In questo pattern vi è mancanza di organizzazione del comportamento di attaccamento. Quando i bambini vengono riuniti alla madre presentano comportamenti confusi e contraddittori, ad esempio si riavvicinano alla madre con la faccia rivolta dall’altra parte, improvvise “fissità” dello sguardo e dei movimenti che appaiono stereotipati.

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Le madri di questi bambini hanno un comportamento di accudimento che viene definito spaventato e spaventante; in genere hanno subito nell’infanzia un lutto non elaborato o esperienze infantili di abuso sessuale, prevalentemente di tipo incestuoso, o altre violenze e spesso possono presentare un disturbo bipolare grave per cui trattano il bambino in maniera bizzarra e imprevedibile.

Si ipotizza che esse si comportino in maniera disorientata con il bambino, rivivendo dolori che fanno parte della loro memoria e del loro mondo interiore.

Come accennato precedentemente, i modelli operativi interni che si sono creati rispetto al legame di attaccamento continueranno a funzionare anche nell’intero anno di vita.

Volendo quindi concludere creando un legame tra i vari concetti esposti è bene sottolineare che:

  1. i soggetti con un attaccamento sicuro svilupperanno un’immagine di sé come degni di amore, capaci di tollerare separazioni temporanee e far fronte alle difficoltà;
  2. i soggetti con un attaccamento di tipo evitante si formeranno un modello mentale dell’altro e degli altri come assenti rifiutanti e ostili, sviluppando parallelamente un’immagine di sé come persone che non sono degne di essere amate e che potranno far affidamento solo su ste stesse, attivando meccanismi difensivi di negazione nel bisogno di cura e affetto e rappresentandosi la realtà come stereotipicamente positiva o violenta.
  3. i soggetti con un attaccamento di tipo ansioso ambivalente o resistente, si formeranno un modello mentale dell’altro e della realtà come imprevedibile, inaffidabile, ostile e pericolosa, e parallelamente svilupperanno una concezione di sé come vulnerabili e costantemente a rischio, incapaci di affrontare da soli le difficoltà;
  4. infine, gli individui con legami di attaccamento di tipo “disorganizzato” svilupperanno modelli di sé e deli altri multipli e incoerenti, tenderanno a rappresentarsi la realtà esterna come catastrofica e a vedere se stessi come persone continuamente minacciate e in pericolo, così come impotenti e vulnerabili.

Nell’opera “Una base sicura”, Bowlby riassume in cinque punti la tecnica terapeutica collegata alla teoria dell’attaccamento, finalizzata soprattutto all’individuazione e alla ristrutturazione dei modelli operativi interni disadattivi:

  • Fornire al paziente una base sicura da cui esplorare gli aspetti dolorosi della sua vita;
  • incoraggiarlo ad esaminare il suo stile relazionale attuale, le aspettative e i giudizi su di sé e sugli altri;
  • incoraggiarlo ad esaminare come i suoi modelli operativi agiscono nella relazione con il terapeuta;
  • incoraggiarlo ad esaminare quanto i suoi atteggiamenti attuali siano il risultato delle esperienze di attaccamento;
  • infine, incoraggiarlo a ristrutturare i suoi modelli disadattivi e disfunzionali.

La relazione terapeutica si configura pertanto come una relazione di attaccamento nella quale vi è un soggetto spaventato, affaticato o malato (paziente), che si rivolge ad un’altra persona (terapeuta), in grado di affrontare il mondo in modo adeguato, per ricevere da questa conforto e cure.

 

Bibliografia

  • Ainsworth M.D.S. (1978), Patterns of attachment: a psychological study of the Strange Situation, Erlbaum Assoc., Hillsdale.
  • Bowlby J., (1969 -1980), Attaccamento e perdita, tr. It. Bollati Boringhieri, Torino 1972-1983
  • Bowlby J., (1988), Una base sicura, Applicazioni cliniche della teoria dell’attaccamento, tr. It Milano, Cortina, 1989.
  • Concato G., (2006), Manuale di Psicologia Dinamica, AlefBet, Firenze
  • Dizionario di Scienze Psicologiche – Edizione Simone
  • Main M., Solomon J. (1990), “Procedures for identifying infants as disorganized/disoriented during the Ainsworth Strange Situation”. In M.T. Greenberg, D. Cicchetti, E.M. Cummings (Eds), Attachment in the preschool years. Theory, research and intervention, University of Chicago Press, Chicago, 121-160.
  • Tani F. (2011), “I legami di attaccamento tra normalità e patologia: aspetti teorici e di intervento”. In Psicoanalisi Neofreudiana, 1, XXIII

 

A cura della Dottoressa Giorgia Lauro

 


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