Fissazione
Nel linguaggio comune, quando parliamo di fissazioni, ci riferiamo a comportamenti che la persona ha sempre messo in atto, che sono diventati abituali e che la fanno sentire tranquilla.
Il termine fissazione può avere significati diversi:
- Rinforzo di una tendenza o reazione, che porta alla nascita di un ricordo o di una abitudine motoria.
- Fenomeno di sedimentazione, irrigidimento e coazione di determinati modi di pensiero, atteggiamenti, sentimenti o comportamenti. Esso comporta un’adesione incondizionata ad un ideale che non consente più di aderire al normale flusso dell’esperienza, ma chiede all’esperienza di piegarsi alle esigenze poste dall’ideale fissato.
- (In psicoanalisi) Legame ad un precedente stadio di sviluppo o ad un oggetto di quello stadio, che persiste in modo immaturo e neurotico, interferendo con altri legami normali. C’è, quindi, l’arresto, durante le fasi dello sviluppo psicosessuale, di una quantità di libido a particolari zone erogene o a forme di soddisfacimento, esperiti nel passato, il che cristallizza la pulsione, allontanandola dalla meta (con regressione allo stadio precedente).
Le condizioni per una fissazione sono, secondo Freud, di due tipi:
- Particolari fatti storici, come un trauma o l’influenza della costellazione familiare.
- L’incapacità del soggetto di abbandonare una fase libidica dove ha trovato soddisfazione.
Freud, quindi, distingue:
- Una fissazione di una pulsione parziale, che, nello sviluppo, non si subordina all’organizzazione genitale della sessualità, ma continua a ricercare soddisfacimenti indipendenti, come nel caso delle perversioni.
- Una fissazione ad una fase della sessualità pregenitale, per cui una parte della libido non riesce ad evolversi e rimane fissata alla fase orale o anale o fallica.
- Una fissazione all’oggetto, per cui, ad esempio, una bambina può restare fissata alla madre, senza riuscire a stabilire con il padre una relazione edipica positiva.
- Una fissazione ad un’esperienza traumatica, che poi si manifesta nelle nevrosi traumatiche.
Nel linguaggio comune, quando parliamo di fissazioni, ci riferiamo a comportamenti che la persona ha sempre messo in atto, che sono diventati abituali e che la fanno sentire tranquilla. Si tratta, spesso, di gesti banali, di cui la persona neanche si rende conto, come per esempio toccarsi continuamente i capelli, mangiarsi le unghie, picchiettare le dita sugli oggetti, ecc. In altri casi, invece, le fissazioni sono comportamenti più consapevoli, che la persona mette in atto perché le danno una sensazione di benessere e di tranquillità, come, per esempio, una precisa sequenza di azioni prima di uscire di casa, l’abitudine di mangiare o dormire sempre a certi orari, ecc.
E’ vero che, a volte, possono sembrare abitudini strane e bizzarre, ma avere alcune piccole fissazioni non è di per se indice di una patologia in corso, perché la persona riesce comunque a rinunciare al suo comportamento abituale senza grosse difficoltà. Viceversa, possono essere definite come patologiche nel momento in cui la persona non riesce a farne a meno, quando occupano molta parte del tempo e, soprattutto, se la persona sperimenta un forte stato di malessere quando non può metterle in atto (si parla di vere e proprie manie). In questi casi, la persona si organizza in funzione della fissazione, mettendo in secondo piano cose importanti come il lavoro, la famiglia, la vita sociale, lo svago, ecc., tanto che queste fissazioni diventano invalidanti e causano pesanti conseguenze (come la perdita del lavoro, problemi con il partner o con gli amici, ecc.). Quando, quindi, la persona diventa totalmente “schiava” delle proprie abitudini, c’è la possibilità di sfociare in una patologia più complessa, come, in primis, quella ossessivo- compulsiva.
Bibliografia:
- Freud S., Introduzione alla psicoanalisi, 1915-17.
- Maldonato M., Dizionario di Scienze Psicologiche, Edizioni Simone, 2008.
- Wilhelm A., Eysenck H.J., Meili R., Dizionario di Psicologia, Edizioni Paoline.
(Dott.ssa Alice Fusella)
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