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Rêverie

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“Rêverie sta a designare lo stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli ‘oggetti’ provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè di recepire le identificazioni proiettive del bambino, indipendentemente dal fatto se costui le avverta come buone o come cattive. In conclusione la rêverie è uno dei fattori della funzione alfa della madre”. Wilfred Bion

Rêverie bionNella primissima infanzia le strutture basilari della mente iniziano a prendere forma e sono ovviamente indispensabili per ogni successiva evoluzione.

La competenza trasformativa delle esperienze vissute in pensieri non è innata, ma necessita dell’interazione sociale e del processo di autoriconoscimento.

Da questo punto di vista il neonato non è in grado di operare da solo tali trasformazioni, per cui dipenderà strettamente dall’ambiente circostante ma soprattutto da chi si prenderà cura di lui.

A tal proposito, per comprendere il concetto di Rêverie è bene effettuare un excursus rispetto alle teoria e al pensiero di Wilfred Bion.

Le prime teorizzazioni di Bion si focalizzarono principalmente sul lavoro con i gruppi in quanto, durante la Seconda guerra mondiale, fu incaricato dall’esercito inglese di occuparsi di quei soldati affetti da nevrosi di guerra e sperimentò appunto con questi soggetti delle terapie di gruppo.

Secondo Bion gli individui si riuniscono in gruppo per perseguire un obiettivo: di studiare le tensioni, le emozioni e sentimenti che prendono vita nel momento in cui più individui si riuniscono in gruppo; secondo Bion questa configurazione gruppale deve essere considerata come un soggetto unico con dinamiche proprie e la cui attività mentale prende il nome di “Gruppo di lavoro”.

Tuttavia, secondo Bion vi è un altro livello di attività mentale che si configura come difensivo rispetto all’apprendere dall’esperienza e ostacolante l’instaurarsi di processi di pensiero maturo nel gruppo: questo secondo livello è definito da Bion “Assunto di base”.

Per spiegare l’esistenza latente degli assunti di base, Bion creò la nozione di “Sistema proto-mentale”, una sorta di substrato della personalità “nel quale il somatico e lo psichico sono ancora indifferenziati. Dal sistema proto-mentale possono emanare sia eventi somatici che eventi psichici”.

Successivamente tale sistema verrà teorizzato e concettualizzato con il termine “elementi beta”: questi rappresentano elementi grezzi della vita psichica, impressioni sensoriali ed emotive non trasformate né elaborate, che vengono vissute come cose o come corpi estranei all’interno della mente e successivamente evacuate attraverso il meccanismo dell’identificazione proiettiva.

Questi elementi necessitano pertanto di una trasformazione per poter essere pensati e verbalizzati attraverso quella che Bion chiama “funzione alfa”, divenendo così elementi alfa che possono essere usati nei processi rappresentativi del sogno e del pensiero.

La funzione alfa comprende dunque tutti quei processi di pensiero come gesti, parole o formulazioni più complesse.

L’adeguato funzionamento della funzione alfa consente, secondo Bion, la formazione di una specifica parte dell’apparato psichico, denominata “barriera di contatto”; essa è una specie di membrana semipermeabile, costituita dall’insieme di elementi alfa che determinano il contatto o la separazione fra coscienza e inconscio.

Se tale funzione risulta deteriorata, o non sufficientemente sviluppata, il soggetto presenterà gravi disturbi della capacità di pensare, poiché non riesce a formare gli elementi alfa.

In questo caso gli elementi beta proliferano al punto di produrre uno “schermo di elementi beta”, che è uno stato tipico di molti pazienti psicotici.

La funzione alfa è un processo che dipende strettamente dal rapporto che il bambino stabilisce con la madre.

La crescita psicologica dell’individuo consiste infatti nello sviluppo di forme sempre più evolute di pensiero a partire dalla matrice originaria fornita dagli elementi beta; vi sono cioè questi elementi emotivi e sensoriali che hanno una radice somatica e si trasformano successivamente in oggetti di pensiero.

Gli elementi beta, dice Bion, si presentano al soggetto come “cose in sé”, come cose estranee alla mente, che non possiedono significato, anche se possono avere un carattere depressivo o persecutorio; il significato è infatti una costruzione successiva e progressiva del pensiero a partire dagli elementi beta trasformati in elementi alfa.

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Gli elementi beta possono essere espulsi, evacuati oppure raccolti dalla funzione alfa e trasformati in modo tale da poter essere pensati. Esistono pertanto due possibilità dalle quali dipende la crescita mentale del soggetto o la sua patologia.

La prima possibilità, basata sul principio di piacere, è la scarica e l’evacuazione delle impressioni dolorose; la seconda è l’impegno nella loro trasformazione in elementi alfa.

In questo caso il soggetto riesce a tollerare la frustrazione e questa tolleranza è considerata da Bion come l’elemento fondamentale della crescita psicologica.

Nel caso di un bambino che inizia a sentire fame, se questa sensazione viene tollerata si genera il pensiero dell’oggetto gratificante come oggetto assente che viene però desiderato con il pensiero, divenendo così una rappresentazione.

Pertanto, grazie alla capacità di tollerare la frustrazione, l’esperienza di dispiacere occupa uno spazio mentale e viene contenuta per un tempo tale da permettere alla funzione alfa di elaborarla e renderla pensabile.

Se invece il bambino non è in grado di tollerare la mancanza di soddisfazione, egli dovrà eliminare questi elementi beta in quanto hanno assunto un aspetto crudele e persecutorio.

Quindi, nonostante il ragionamento sembri apparentemente in linea con le teorie della Klein, in realtà secondo Bion non è l’assenza dell’oggetto a renderlo cattivo, ma l’incapacità di tollerare la frustrazione della sua assenza.

Gli elementi beta vengono evacuati attraverso il meccanismo dell’identificazione proiettiva; se questo avviene in presenza di una madre attenta ed empatica, tali elementi vengono collocati nella madre che diviene una sorta di “contenitore” di quelle componenti intollerabili e incontenibili per il bambino.

Si può dire quindi, in termini metaforici, che secondo Bion nel rapporto tra madre e bambino, la madre “cuoce” gli elementi beta, accogliendo questi elementi e rimandandoli al bambino in forma di elementi alfa, cioè digeriti e più accettabili.

Lo stesso processo avviene con il cibo, che una volta cotto perde le componenti indigeste o pericolose, poiché il calore le rende inattive.

Questa funzione della madre è chiamata da Bion Rêverie: “Rêverie sta a designare lo stato mentale aperto alla ricezione di tutti gli ‘oggetti’ provenienti dall’oggetto amato, quello stato cioè di recepire le identificazioni proiettive del bambino, indipendentemente dal fatto se costui le avverta come buone o come cattive. In conclusione la rêverie è uno dei fattori della funzione alfa della madre”.

Dunque sia la capacità di rêverie della madre che la capacità del bambino di tollerare la frustrazione concorrono al destino dello sviluppo mentale del soggetto, quindi non dipende tutto dalla madre, ma anche dalla predisposizione psichica del bambino.

Occorre comunque sottolineare che l’utilità della rêverie materna non è solo quella di elaborare le identificazioni proiettive del bambino, in quanto quello che conta soprattutto è che la funzione alfa esercitata dalla madre venga assimilata dal bambino ed entri a far parte del suo apparato mentale.

L’identificazione proiettiva è considerata da Bion non solo come lo strumento per scaricare elementi incontenibili, ma anche come pilastro importante della comunicazione non verbale tra madre e figlio; essa quindi caratterizza la diade non solo di aspetti negativi ma anche di sentimenti positivi.

Da un punto di vista psicopatologico, il fallimento della rêverie materna determina lo strutturarsi di una personalità in cui predominano gli elementi beta, ossia le emozioni e le sensazioni allo stato grezzo, e secondo Bion questo è riscontrabile non solo nel soggetto psicotico, ma anche in quella parte psicotica della personalità nevrotica e borderline.

Nella psicosi gli elementi beta non riescono a essere contenuti e modificati, pertanto il soggetto è costretto ad evacuare continuamente tutte le emozioni insieme a quelle che gli risultano troppo dolorose; tale svuotamento emotivo distrugge l’apparato per pensare, così come i legami, rendendo la comunicazione distorta.

Tale incapacità di modificare e contenere gli elementi beta è dovuta sia a un difetto costituzionale nella capacità di tollerare la frustrazione che ad un fallimento della rêverie materna, ossia la mancata acquisizione della funzione alfa.

Gli elementi beta che continuano ad agglomerarsi portano alla formazione dello “schermo beta”, che impedisce il passaggio di tali elementi verso il pensiero e li mantiene in una condizione di non pensabilità e quindi pronti per essere espulsi.

L’eliminazione della barriera di contatto, fa s che non vi sia più distinzione tra realtà e fantasia inconscia, tra interno ed esterno e questa condizione è tipica dell’allucinazione.

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La funzione alfa risulta così invertita e questo processo determina secondo Bion la formazione di oggetti deliranti che denomina “oggetti bizzarri”, ossia oggetti in un cui vi è una fusione continua tra elementi beta e parti scisse e proiettate della personalità del soggetto.

“In questa fase lo psicotico scinde nello stesso tempo i suoi oggetti e la parte della sua personalità deputata alla percezione della realtà, in maniera così minuta che la quantità dei frammenti crea in lui la sensazione di non poter mai riuscire a riparare i suoi oggetti o il suo Io. Il paziente avverte che ogni particella consiste di due parti: un nucleo, costituito dall’oggetto reale, e un alone attorno ad esso, rappresentato dal frammento della propria personalità. La sostanza totale della particella dipenderà perciò sia dalla qualità dell’oggetto, facciamo conto un grammofono, sia dalla natura del frammento inglobante, poniamo la funzione visiva. Allora l’oggetto bizzarro che il paziente avrò nella sua percezione sarà un grammofono che lo sta spiando.”

Mancandogli la funzione alfa, il soggetto psicotico non può verbalizzare le sue emozioni e dare un nome e un significato ai suoi stati interni.

Per quanto concerne infatti la situazione analitica, le associazioni del paziente, espresse verbalmente, sono delle “trasformazioni” di fatti esperienziali, presenti o passati. Prendendo spunto dalla geometria proiettiva Bion distingue tre modelli di trasformazioni nell’area mentale:

  1. trasformazioni a moto rigido: sono quelle che implicano scarsa deformazione, mantenendo costanti certi significati e caratteristiche;
  2. trasformazioni proiettive: avvengono attraverso meccanismi di difesa quali proiezione, dissociazione e identificazione proiettiva; in questi casi esperienze che non hanno nulla a che vedere con la seduta vengono considerati dal paziente come parti di essa o della personalità dell’analista;
  3. trasformazioni in allucinosi: sono tipiche del funzionamento psicotico, il cui prodotto finale della trasformazione è appunto un’allucinazione.

La trasformazione per Bion è intesa come un processo (Talfa) realizzato con una certa tecnica o a certe condizioni, che determina il passaggio da uno stato iniziale (“O”) a un prodotto finale (Tbeta).

I tre tipi di trasformazione sono in relazione con il “sapere riguardante O”, trasformazioni O à K.

K indica “Knowledge”, il conoscere qualche cosa; le trasformazioni in K riguardano invece le spiegazioni e le interpretazioni che il terapeuta fornisce rispetto ai fatti interni del paziente.

Il “legame K” corrisponde invece ad un’emozione diffusa, un misto di amore-odio ed ogni processo conoscitivo deve essere considerato come attraversato da questa corrente emotiva.

Il processo di evoluzione in “O” corrisponde infine al processo che determinerà lo sviluppo di fatti mentali nuovi. Questo potrebbe produrre nel paziente un cambiamento catastrofico, ossia una nuova pre-concezione di se stessa da saturare con nuovi significati.

Divenire la O del paziente psicotico significa spesso per il terapeuta partecipare a momenti terribili di frammentazione e angoscia.

Da un punto di vista terapeutico, la funzione di rêverie è quindi il criterio fondamentale per l’atteggiamento analitico bioniano.

Nella terapia della psicosi il terapeuta si trova a svolgere questa funzione nei confronti degli elementi beta che sono evacuati in lui dal paziente e che, coinvolgendolo emotivamente, tendono a bloccare la sua capacità di pensare sollecitandolo a reagire.

Nel procedere terapeutico Bion ricorre spesso all’identificazione proiettiva come strumento terapeutico, fornendo alcuni accorgimenti su come distinguerla dalla sua accezione patologica a quella normale. I criteri suggeriti sono:

  • il grado di odio e di violenza della scissione e dell’intrusione;
  • il carattere di controllo onnipotente e quindi di fusione con l’oggetto;
  • la quantità di Io che viene perduta;
  • l’intento specifico di distruggere la consapevolezza, specialmente della realtà interna.

All’opposto, l’identificazione proiettiva normale cercherebbe soprattutto la comunicazione e l’empatia e svolgerebbe un ruolo significativo nella partecipazione alla realtà sociale.

Per concludere è sempre attraverso una destrutturazione, un cambiamento catastrofico, che il soggetto può intraprendere il processo di reale cambiamento.

L’analisi è pertanto un processo in cui non cambiano le conoscenze ma i fondamenti della personalità dell’individuo che determinano il suo modo di conoscere.

 

Bibliografia

  • Bion W., (1961) Esperienze nei gruppi, tr.it Armando, Roma, 1971
  • Bion W., (1962) Apprendere dall’esperienza, tr. It Armando, Roma, 1972
  • Bion W., (1965), Trasformazioni, il passaggio dall’apprendimento alla crescita, tr. It. Armando, Roma, 1983
  • Concato G., (2006), Manuale di Psicologia Dinamica, AlefBet, Firenze
  • Dizionario di Scienze Psicologiche – Edizione Simone
  • Hinshelwood R.D., (1989), Dizionario di Psicoanalisi Kleiniana, tr. It. Cortina, Milano, 1990
  • psichepedia.it

 

A Cura della Dottoressa Giorgia Lauro

 


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