Troppi problemi (1446489450149)
Brigitte, 28
Salve, mi scuso in anticipo se questo messaggio sarà davvero gigantesco, ma l'unico modo che ho per far capire davvero come mi sento è quello di raccontare ogni cosa.
Sono Luisa, ho ventotto anni, e sono a sei mesi dal matrimonio. Comincio a raccontare la mia storia da qui, andando un po' a ritroso.
Io e il mio fidanzato stiamo insieme da dieci anni esatti. È una storia come tante, è andata avanti piuttosto bene, solo con un po' di regolari e prevedibili alti e bassi qua e là. L'anno scorso abbiamo deciso di sposarci e abbiamo annunciato il matrimonio ad amici e parenti. Però qualche mese fa le cose sono "silenziosamente precipitate".
Io l'ho tradito. L'ho tradito più volte, con il mio migliore amico. Premetto che io e il mio migliore amico ci conosciamo praticamente da sempre, dal momento che siamo entrambi dello stesso paese. Ci conoscevamo, insomma, solo per questo. Ci siamo ritrovati insieme nella stessa classe quando io, il terzo anno di superiori, decisi di cambiare sezione.
È nata fra noi, negli ultimi anni di scuola, un'amicizia sincera. In verità c'era anche un piccolo interesse che, per diversi motivi, non si è mai tradotto in niente. Fra noi c'è stato solo un bacio, al quale non è seguito poi più niente. Un paio di mesi dopo ho conosciuto e cominciato a frequentare il mio attuale ragazzo. Io e il mio migliore amico non ci siamo comunque persi neanche nel periodo dell'università. Anzi, pur avendo scelto due università (e città) diverse, abbiamo continuato a tenerci in contatto e a vederci, per lo più insieme al resto della compagnia di nostri amici, ogni volta che tornavamo a casa per le vacanze. Siamo sempre stati molto attaccati, anche in questi anni, pur con la distanza.
Qualche mese fa lui ha ricevuto un'importante opportunità di lavoro e, di nuovo, ha cambiato città. Sono andata a trovarlo, ed è da quel mio viaggio che praticamente comincia questo mio periodo di smarrimento. Abbiamo praticamente iniziato una storia clandestina, fatta di fughe, abbracci nascosti, scuse e giustificazioni. Il punto è che io non mi sento minimamente in colpa per tutto questo. Non mi ci sono mai sentita. Ho semplicemente nascosto la cosa al mio fidanzato e sono andata avanti. Per lo meno fino al momento in cui ho cominciato ad avvertire, davvero forte, il peso di tutti i miei dubbi. Voglio davvero sposarlo? Lo sto tradendo solo per la paura del grande passo? Devo lasciarlo?, mi chiedevo.
Un'altra doverosa premessa da fare è che, a dire il vero, io non sono mai stata una tipa "da matrimonio". Il mio sogno è stato sempre quello di viaggiare, vedere il mondo, studiare in qualche altra città. Vengo da un paesino del Sud Italia e ho sempre avvertito questo bisogno fortissimo di andare via. Pensavo che tutto questo non fosse un problema, perché io e il mio fidanzato viviamo in una città grande, che decisamente è una realtà molto diversa da quella in cui io sono cresciuta. Ma la routine matrimoniale, il pensiero di fossilizzarsi in un solo posto, l'idea di eventuali figli... sono tutte cose che rasserenano gli altri, e che a me fanno paura e creano fortissima ansia. Li vedo come un limite, come un ostacolo, mi dico "la mia vita è finita, non potrò più fare niente". E so che non è sano pensare cose del genere, per di più di fronte all'idea di un matrimonio, che invece dovrebbe essere fonte di gioia.
Gli ho espresso tutti questi dubbi il mese scorso e, tra mille discussioni e litigi, abbiamo deciso di "prenderci un periodo di pausa". Lo virgoletto perché né amici né parenti sanno di tutto ciò. La data è già fissata, il ristorante prenotato, l'abito a cucire. Abbiamo deciso di prenderci del tempo per non dover affrontare a caldo il dispiacere di dover annullare tutto ed informare i parenti, per pensare ad un'eventuale soluzione e per ragionare sulla questione con calma. Lui, aggiungo, non sa dei tradimenti. Non solo: non sospetta minimamente. Non posso davvero rimproverare nulla al mio fidanzato. So bene che tutti i problemi vengono solo da me e dalla mia testa. Lui è perfetto, è attento, è premuroso, non mi ha mai fatto mancare niente. È un ragazzo cattolico e molto molto credente. Direi anzi che la sua vita ruota intorno alle questioni di fede, non manca una messa, partecipa alla vita della sua parrocchia e vive secondo questi principi. Onestamente non ho mai pensato che la questione fede potesse arrivare ad incidere sulla mia vita così tanto.
Io, però, non credo affatto in queste cose. Sono una dei tanti "cattolici sulla carta". A lui ho sempre detto che sì, credevo anch'io, anche perché francamente non è mai stata una questione primaria, per me. Da un paio d'anni a questa parte comunque ho lentamente mutato idea. Non sono credente, e sto anzi sviluppando una visione del mondo, direi... piuttosto cinica. Parlandone sinceramente con lui, ho "modificato la verità" in modo da non farlo soffrire, dicendogli che credevo in dio, ma non a certi dogmi della religione cristiana. Lui dice di aver accettato questa cosa, anche se a fatica, ma da come si comporta e da quel che dice e fa, si vede chiaramente che è una questione che gli pesa molto. Anche i miei genitori sono convinti che io sia credente e non mi sono mai presa la briga di parlare con nessuno di come vedo veramente le cose. Tanto non capirebbero.
Credo, comunque, che proprio la mia visione del mondo sia il mio più grosso problema. Mi sento divisa in due.
Da un lato c'è questo desiderio fortissimo di volermi spostare, non stare mai troppo tempo nello stesso posto, andare in giro per il mondo... Dall'altro lato c'è invece quella vocina che mi dice "io non potrò mai farlo". Vuoi per questioni di soldi, ché di certo non navigo nell'oro, vuoi perché progetti come questo sono sempre destinati a rimanere accantonati per tanto tempo... Ma il problema principale è che so che non ne sarei in grado.
Io non sono a mio agio nel mondo. Non lo sono.
Alzarsi dal letto la mattina è per me una fatica enorme. Lavoro (non pagata) in una scuoletta elementare messa su alla buona e perennemente senza fondi, che perciò non ha la possibilità di sganciare uno stipendio, anche minimo. Sto lavorando solo per fare gavetta, in pratica. Nonostante ciò questo lavoro misero è l'unica cosa che mi gratifica un po', perché insegnare è sempre stato un mio grande sogno ed obiettivo di vita. Il resto, però, è tutto un groviglio di situazioni in cui proprio non riesco a barcamenarmi.
Anche se rido e scherzo, mi rendo conto che fingere di essere una persona allegra e simpatica mi costa un sacco di energie.
Dentro sento tutt'altro. Per me è tutto spento, vuoto, morto. E "morto" è la parola più giusta: sono ormai tanti, tantissimi anni, che convivo con l'idea del suicidio. L'anno scorso, prima della decisione matrimonio, ero arrivata ad un punto davvero spaventoso. Non pensavo ad altro. Non facevo che ragionare su quale potesse essere il modo migliore per morire. Ho affrontato la cosa con freddissima calma e lucidità, ho perfino vagliato i diversi modi per farlo e ho studiato anche i momenti giusti, in modo da non poter essere disturbata durante la cosa ed essere ritrovata già bella che morta. Se ho esitato è solo perché ho cercato di convincermi che devo concentrarmi su me stessa, sulla mia vita, ché dopotutto la vita è piena di possibilità, che il suicidio non è mai una soluzione, eccetera eccetera eccetera. Invece, arrivata a questo punto, comincio a pensare che davvero lo sarebbe.
A che mi serve vivere? Non riesco a capirmi neanche da sola, non so quale può essere la strada giusta per me. Tutto mi sembra inutile, tutto quanto. Il mio cuore è spaccato in due, fra il desiderio di voler fare mille cose nuove e diverse e il "sii realista, non potrai mai farcela" che sento in testa. Ho anche pensato che, magari, tutti i miei problemi derivano da un episodio molto spiacevole che ho vissuto da bambina. Cioè un periodo di violenze sessuali.
È stato mio nonno a farmi violenza, il mio nonno materno, quando avevo dieci anni. Da piccola i nonni materni li vedevo poco, e non ho mai avuto nei loro confronti l'affetto e l'attaccamento che invece ho sempre nutrito nei confronti dei nonni paterni.
Ricordo quegli episodi molto nitidamente, tutti quanti. Una volta mia nonna lo vide e sono sicurissima che all'epoca ne parlò con mia madre. Ne sono sicura perché ricordo un pomeriggio in cui mia zia, con mia madre presente, mi fece un discorsetto (anche se molto vago) sulla cosa. Non so se a lui fu detto qualcosa, ma ne dubito, perché continuava nelle sue porcherie ogni volta che mi vedeva e che aveva occasione di restare solo con me anche solo per qualche secondo. Continuò per anni, credo addirittura quattro o cinque.
Poi ho cominciato a vederlo più raramente, per fortuna. Finché, altrettanto fortunatamente, non è morto. Io comunque non dissi mai niente a nessuno, perché sapevo che una cosa del genere avrebbe scatenato in famiglia un putiferio, e anche perché mio padre, cui sono legatissima, non meritava un dispiacere simile.
Devo comunque ammettere che questi episodi non mi hanno creato moltissimi problemi. Non ho mai avuto difficoltà a stare con un ragazzo e ho sempre vissuto le mie storielle di ragazzina molto serenamente.
Ma credo di non aver mai perdonato questa cosa a mia madre. Nei suoi confronti ho un odio inimmaginabile, grandissimo. Mi dà fastidio ogni cosa che fa, la reputo una persona falsa ed egoista. La vorrei vedere morta. So che fa ribrezzo sentire questa frase, ma giuro, nell'ammetterlo mi sento tranquilla e libera: la vorrei vedere morta. Per me non è mai stata una madre, neanche prima di tutti questi episodi. Non ricordo da parte sua mai una carezza o un abbraccio. Mia madre non mi è mai stata vicina, anzi mi ha praticamente torturata per tutti e cinque gli anni di scuola, mi concedeva qualcosa solo per poi portarmela via, ha reso la mia adolescenza un vero inferno. Non ricordo un natale o una pasqua senza le discussioni e le litigate più inutili e per le cose più banali.
Mi diceva con disprezzo che sono grassa. Ed è vero, lo sono sempre stata. Durante quest'anno ho già perso 26 Kg, è la prima volta che raggiungo un peso così basso, ma sono ugualmente grossa, sebbene sia a 10 Kg dalla meta. E fosse stato solo quello il problema... in realtà sono proprio brutta. Lo sono davvero, non come le ragazzine che piagnucolano perché hanno le gambe un po' storte. Lo sono, sono inguardabile.
Ho un brutto naso a punta, i denti storti, le orecchie grandi, il seno troppo piccolo. Ho le gambe secche e la pancia. Sono distantissima da ciò che vorrei essere. Mi basta guardarmi allo specchio perché mi venga voglia di piangere. Non ho in casa neanche una foto della mia laurea, perché non riesco a guardarmi e non vengo (ovviamente) mai bene nelle foto. Ho pianto quando abbiamo fermato il fotografo per il matrimonio e io ho pensato che non avrò in giro neanche foto di quel giorno, perché tanto sarò sempre brutta. Tutto questo grosso lavoro che sto facendo su di me, è vero, sta funzionando; ma mi dico: a che serve?
Questa è la domanda che mi faccio per tutte le cose della mia vita: "A che serve?"
Non è stato proprio facile crescere così. Non con quattro cugine, tutte davvero splendide. Quando da ragazzine uscivamo (tutte, tranne una, hanno la mia età) i ragazzi si avvicinavano a loro per presentarsi e cercare di conoscerle. Era un continuo. Io, chiaramente, sono sempre stata ignorata. C'è stata perfino una volta in cui dei ragazzi, passando in macchina, con loro si sono fatti notare... a me hanno urlato "Che brutta!"
E la cosa dell'intelligenza, diciamocelo, è una cretinata. Ho sempre cercato di pensare che "beh, non sono bella, ma sono intelligente". Però non è vero: tutti gli obiettivi che ho raggiunto finora non sono stati premi per la mia determinazione o la mia prontezza. Ho raggiunto questi obiettivi solo ed unicamente per inerzia. Ho studiato perché sapevo di doverlo fare. Sono dimagrita perché sapevo di doverlo fare. Nessun successo che ho avuto è riconducibile a determinazione, o ambizione, o intelligenza.
Alla fine ho anche accettato passivamente l'idea di questo matrimonio. La "pausa" è finita, silenziosa così com'era arrivata, e abbiamo deciso che tutti i nostri problemi si possono risolvere, che insieme ce la faremo, che noi possiamo. Il mio amico, però, l'unico che sapeva di questa specie di "rottura", adesso non sa nulla della pausa finita. E il mio fidanzato ovviamente continua a non sapere dei tradimenti. Di più: sto cercando di incastrare tutte le incombenze matrimoniali in modo che mi avanzi qualche giorno di tempo per andare a trovare il mio amico, di nuovo. So già che non dovrei, ma in un momento così ho davvero bisogno di sentirmi bella, desiderata, e soprattutto lontana da ogni pensiero. Compreso quello del suicidio, che riaffiora sempre più spesso negli ultimi giorni. Perché mi dico che, davvero, può essere solo una felice conclusione per mettere un punto a tutto questo. Il mio amico è capace di sedare questi miei stati d'animo. Perché comunque fra noi non c'è solo un legame fisico, che è arrivato dopo tantissimo tempo, ma c'è anche legame mentale e complicità profonda, mi sento a mio agio a parlare di qualunque cosa e in generale lui la pensa come me.
A complicare tutto c'è il fatto che per di più, anche se io e il mio fidanzato abbiamo "più o meno" deciso di risolvere, è un continuo litigare anche per le cose banali e stupide. Poi, nelle litigate più grosse, spuntano altre questioni, per esempio i modi diversi di vedere la vita. Ma è davvero una cosa continua e mi sfianca, e non so come sbrogliare la situazione. Dopo dieci anni, quando l'abitudine è ormai entrata a far parte della vita di coppia, come si fa a capire se è ancora amore quello che spinge due persone a stare insieme, oppure è solo il rifiuto di affrontare una rottura, un rassegnarsi di fronte al "ormai ci siamo quasi sistemati, non ha senso buttare tutto via"?
Non so che fare, non so come comportarmi. Non so cosa fare di me. La mia vita è qua, davanti ai miei occhi, eppure io non ci sono mai entrata dentro per davvero. L'ho sempre soltanto sfiorata. Mi sembra davvero tutto inutile e morto. Non sono neanche in grado di capire qual è il mio problema principale, non so neanche da dove potrei cominciare per provare a sistemare, almeno un po', le cose. È la prima volta in assoluto che ne parlo e, se lo faccio, è solo perché credo che questa sia l'ultima spiaggia prima di mandare definitivamente a quel paese ogni cosa, compresa me stessa. Mi sento come davanti ad un enigma senza soluzione. Ed è terribile.
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Cara Luisa, la sincerità con cui ha raccontato tutta la tua storia, il suo dolore, i suoi pensieri più intimi è ammirevole, la sofferenza, il dolore e lo sconforto altrettanto potenti nella lettura.
E’ riuscita a descrivere molto bene la complessità delle emozioni che vive e l’intreccio che tocca ogni ambito della tua vita, da quello relazionale e sentimentale a quello individuale e personale passando per l’amicizia e la socialità. Emerge un quadro complessivo denso di turbamento che richiede una forte attenzione alla sua persona e al superamento di tutte le criticità che sta incontrando, è importante che possa attivare un sostegno concreto ed un aiuto efficace che la invito a concretizzare.
Inizia raccontando del tradimento e delle divergenze di progetto comune con il suo fidanzato, sembra che lei abbia necessità di fare chiarezza sui confini che la circondano, internamente ed esternamente. Necessita di comprendere cosa rappresenta per lei il matrimonio e cosa l’evasione, necessita di capire profondamente che personalità ha e come può stare bene con te stessa.
La storia clandestina, le fughe gli abbracci rubati, il sentirsi amata “in segreto” è ciò che spesso rende vivi, vitali e desiderosi, ma anche ciò che sconvolge, mette in crisi e attiva sensi di colpa, per camminare in bilico tra sensazioni così alternanti bisogna capire profondamente cosa si attiva in una dinamica di questo tipo, quale posizione si va ad assumere che si sente impossibilitati a sostenere in maniera diversa. Qual è la radice di quel tipo di amore e come si è instaurata nel suo intimo.
Il bisogno di evadere spazialmente si è trasformato a tal punto da poter essere solo furtivo? Trapela dalle sue parole la compromissione dell’autostima verso se stessa ma non è un processo destinato a rimare così, è possibile recuperare ciò che sente “in frantumi” attraverso un percorso terapeutico effettuato da un professionista specializzato. È interessante notare come descrive cosa dovrebbe pensare e provare, ma cosa in realtà non sente, le sottolineo che è molto importante poter vedere e PENSARE (che non è agire ma riflettere) sia gli aspetti positivi che quelli negativi di un evento, anche di un matrimonio, senza nascondersi dietro un’illusione di perfezione che la porterebbe a scontrarsi con un’idea troppo distante dalla realtà.
Freud, in psicanalisi, contrasta all'istinto di vita che spinge ogni essere a muoversi dalla pulsione sessuale con l’istinto di morte che altrettanto violentemente spinge l’essere verso l’annichilimento. Non sottovalutare la potenza della sua insoddisfazione e se sente di non essere felice deve assolutamente valutare le strategie migliori per cambiare la sua vita, ma non si imponga di dover necessariamente gioire di qualcosa perché sono gli altri a dirglielo.
Procedendo con il suo racconto ed addentrandosi nella routine quotidiana riporta sintomi molto precisi riconducibili ad uno stato depressivo, (ci tengo a precisare che questa non è una diagnosi, perché per essere effettuata è necessario un processo di conoscenza e degli incontri vis a vis) ma le caratteristiche principali che descrive devono assolutamente allertarla sul suo stato umorale. Le idee suicidarie vanno contestualizzate in base alla storia ed ai vissuti di chi ne parla, ci sono delle fantasticherie sulla morte in quasi ogni essere umano, ma i tentativi di suicidio sono delle comunicazioni molto potenti e altrettanto rischiosi. Il fatto che ne possa raccontare liberamente in una lettera che porta la sua firma potrebbe essere una chiara richiesta di aiuto che la esorto a seguire. Non si chiuda verso se stessa, provi a comunicare con un professionista, si permetta si aiutarsi.
Il riferimento alla violenza subita è di impatto travolgente per la psiche di una bambina, e ancora di più la rabbia per chi sapeva ma non ha protetto, la invito veramente a rielaborare attraverso un percorso analitico tutto ciò che ha provato e che spaventa a volte talmente tanto che rimane rimosso. Quello che circola intorno ai non detti e alle violenze familiari sono sistemi dolorosi e complessi, e anche se fortunatamente riporta di non avere avuto grandi problemi deve darsi la possibilità di risanare una ferita intima e profonda che in qualche maniera la fa sentire a disagio.
L’odio verso sua madre va liberato, trasformato e recuperato, nessuna donna che abbia un conflitto aperto con chi l ha generata si sente in piena armonia con se stessa, mentre confrontarsi e comprendere fornisce una chiave di lettura che può aiutarla a liberarsi di molto peso, e forse non solo simbolicamente. L’immagine corporea interna che presenta di se stessa è fortemente svalutante, non c’è dubbio che se si vede e si sente brutta lo trasmette anche agli altri, ma è altrettanto vero che non sono solo le persone “canonicamente e socialmente” belle ad essere felici, soddisfatte, contente. Non serve essere belle per avere amici, amori, passioni, è importante conoscere i propri desideri, i propri punti di forza, amarsi come non si è stati mai amati. Se la paura di vedersi riflessa è così forte da non volere neanche un’immagine di se stessa bisogna pensare che non esista una distorsione interna del proprio modo di vedersi, più che esterna.
Lo sconforto che riporta nelle righe finali mi spinge a sottolinearle nuovamente che esistono delle soluzioni per affrontare ciò che le sembra impossibile, non si demoralizzi più di quanto non sta già facendo, esistono sempre delle soluzioni, abbia la forza di aiutarsi, magari iniziando un percorso terapeutico, sono si arrenda, e per se la scrittura è l’unica cosa che l’aiuta mantenga questo canale, lo ampli, trovi delle alternative per iniziare a volersi bene.
A disposizione per ulteriori approfondimento.
Luisa Bonomi
(a cura della Dottoressa Luisa Bonomi)
Pubblicato in data 02/12/2015
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