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Attaccamento e Disturbi Alimentari

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Tra i vari scambi madre-bambino l’alimentazione rappresenta un momento essenziale. La ricerca clinica evolutiva degli ultimi anni offre una lettura dei disturbi alimentari precoci in chiave interattiva, evidenziando chiaramente l’importante ruolo svolto dal legame di attaccamento nella genesi dei disturbi alimentari nell’infanzia.

disturbi alimentari e attaccamentoAnna Freud (1946) fu la prima ad individuare una categoria di disturbi nevrotici dell’alimentazione nell’infanzia legati ad emozioni conflittuali nei confronti della madre e simbolizzati attraverso il cibo.

Nello scenario della psicoanalisi infantile degli ultimi decenni si è affermato un modello che ridimensiona il ruolo delle pulsioni spostando l’attenzione sulla relazione madre-bambino e sui bisogni di protezione e sicurezza di quest’ultimo.

All’interno di questa prospettiva Sandler elabora la teoria della regolazione del Sé durante l’infanzia ipotizzando che attraverso i ritmi biologici, tra cui quello di fame-sazietà, vengono regolati gli stati interni del bambino.

In linea con questo orientamento Stern mette in rilievo l’importanza della funzione materna di sintonizzazione affettiva con gli stati d’animo del bambino, alla base della percezione di sé come essere agente, dotato di intenzionalità e quindi di una mente e un’individualità. Secondo Stern la nutrizione è un’attività vitale per la costruzione del sè emergente, in quanto permette ripetuti contatti faccia a faccia e stimolazioni sociali.

Le osservazioni di bambini con disturbi della regolazione alimentare nei primi mesi di vita mettono in luce comportamenti di imprevedibilità e di incoerenza del caregiver durante l’allattamento, unitamente alle difficoltà di quest’ultimo di posizionare il bambino per favorire gli scambi sociali. In alcune ricerche dall’osservazione sistematica dei comportamenti interattivi e gli scambi affettivi durante l’alimentazione è emerso che i bambini con disturbo alimentare mostravano segnali comunicativi poco chiari e le loro madri erano meno recettive e meno cooperative, manifestando comportamenti arbitrari, direttivi e controllanti, sia durante l’alimentazione che nelle situazioni di gioco.

Altre ricerche, utilizzando la procedura osservativi della Strange Situation per valutare la qualità dell’attaccamento tra caregiver e bambino nei bambini con un disturbo alimentare, hanno evidenziato alte percentuali di attaccamento insicuro o disorganizzato e elevati livelli di rabbia, ambivalenza, imprevedibilità, paura e repressione emotiva nelle interazioni.

Per quanto riguarda disturbi alimentari in adolescenza o in età adulta non si può stabilire un collegamento altrettanto chiaro tra lo sviluppo della patologia alimentare e disturbi nell’attaccamento, anche se numerosi studi clinici ed empirici suggeriscono che stili di attaccamento insicuri sono comuni all’interno nella popolazione affetta da disturbi alimentari.

Le caratteristiche della comunicazione nella famiglia di origine e il modello di attaccamento insicuro possono essere le probabili cause dei peculiari modelli rappresentativi dei pazienti con disturbo alimentare psicogeno .

Nelle persone affette da disturbo del comportamento alimentare spesso opera uno schema interpersonale connesso ad una rappresentazione dell'altro come inaffidabile e in qualche modo minaccioso quando si tratti di rivelargli la propria intimità. Questo genera l'aspettativa (vissuta come una quasi - certezza) che l'interlocutore non comprenderà, accetterà o apprezzerà l'espressione del proprio mondo interiore o che userà la conoscenza dei sentimenti del soggetto contro lo stesso. Di fronte alle varie delusioni, provate prima nel rapporto con il care-giver e poi nei primi legami affettivi extra - familiari, il soggetto si rifugia in immagini idealizzate di rapporti affettivi futuri perfetti e gratificanti.

La relazione fra sè e l'altro affettivamente significativo viene così rappresentata in forma dicotomizzata: da un lato, come ideale fusione di intenti e sentimenti, dall'altro come atteso disinganno e conseguente totale impossibilità di rapporto.

Allo stato attuale della ricerca non è possibile spiegare linearmente come lo stile di attaccamento possa essere correlato in modo specifico con il comportamento alimentare in età adulta.

Esperienze precoci, responsabili del mancato sviluppo di una base sicura, interagendo con altri fattori, potrebbero favorire l’insorgenza successiva di disturbi alimentari in maniera non lineare ma complessa e sistemica, agendo a vari livelli, ad esempio interferendo sulla capacità di gestire le emozioni spiacevoli, oppure ostacolando la costruzione di un’identità corporea positiva o non permettendo lo sviluppo di un senso d’identità integrato.

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L’ipotesi eziologica multifattoriale dei disturbi alimentari può ben essere integrata all'interno di una teoria che concettualizza i disturbi dell'alimentazione come disturbi della regolazione degli affetti. La mancata condivisione degli affetti, su cui il bambino costruisce le proprie esperienze di autoefficacia e consapevolezza, può determinare confusione ogni qual volta tenti di distinguere i suoi bisogni fisiologici, l’avere fame o l’essere sazio, dalle esperienze emotive e interpersonali.

Nel corso degli ultimi decenni svariati studi empirici hanno esplorato la possibile associazione tra alessitimia e disturbi del comportamento alimentare. Taylor formula il concetto di alessitimia come un costrutto di personalità che riflette un disturbo importante nella regolazione degli affetti e costituisce un fattore di rischio rilevante per il prodursi di malattie psicologiche e somatiche.

Le persone affette da disturbi alimentari sono fondamentalmente alessitimiche: hanno difficoltà a riconoscere i propri stati interni (fame, sazietà, senso di vuoto), ad esplorare il proprio mondo interiore, presentano scarse competenze nel riconoscere ed esprimere le proprie emozioni. Tale carenza priva queste persone di una importante fonte di in formazioni sul propri stato di benessere e sui propri desideri e bisogni, ostacolando la creazione di confini stabili con gli altri e incrementando la dipendenza dall’ambiente esterno per aver conferme e sicurezze. La dipendenza infatti costituisce un tratto fondamentale nelle persone affette da disturbi alimentari: la malattia , se da un lato può configurarsi come una rivendicazione muta della propria autonomia dalla famiglia, dall’altro tende a ricreare rapporti simbiotici con le figure di riferimento.

Anche se l'alessitimia non è direttamente legata all'abbuffarsi, ai disturbi dell'immagine corporea o ad una ricerca ossessiva della magrezza, esistono prove empiriche del fatto che questo costrutto è legato a tratti psicologici tipici nelle persone affette da disturbi del comportamento alimentare, in particolare la confusione enterocettiva, la difficoltà nel comunicare i sentimenti, la percezione alterata dello stimolo della fame, che assurge a rappresentante di una più vasta difficoltà nella distinzione tra stimoli interni ed esterni, cioè nel corretto riconoscimento delle proprie emozioni e sensazioni.

In questo modo il corpo assume una valenza simbolica in relazione al sociale, in quanto condensa nell’agito anoressico-bulimico contenuti psichici difficilmente comunicabili e scarsamente mentalizzati. Esso diventa punto d’incontro-scontro tra ciò che è dentro e ciò che è fuori, spazio-superficie che delimita un Sé ancora incerto. Le dinamiche di riempimento e svuotamento, tipiche del movimento oscillatorio anoressico-bulimico potrebbero essere tentativi di contenere su un piano concreto le emozioni: lo stomaco vuoto che evoca la solitudine a cui si fugge attraverso il cibo divorato, che riempie senza nutrire.

Alcuni studi sembrano legare l’anoressia ad uno stile di attaccamento evitante.

Le persone con uno stile di attaccamento evitante si caratterizzano per un buono sviluppo cognitivo a scapito della sfera affettiva. Essi implicitamente affermano la propria indipendenza, sono perfezionisti, hanno resistenze a tollerare la vicinanza affettiva e l’intimità e tendono a distanziarsi da sentimenti quali tenerezza, rabbia, tristezza.

Tale stile si struttura dal rapporto con una figura di attaccamento (spesso la madre) con uno stile di accudimento ansioso, rigido, iperprotettivo, ipercentrato sul “fare bene” ma incapace di rendere il rapporto intimo. La madre scoraggia il contatto emotivo stimolando molto l’autonomia e l’autocontrollo. Tale figura non è in grado di fornire un addestramento emotivo al bambino e si concentra soprattutto sugli aspetti fisici dell’accudimento. Di fronte al disagio emotivo del figlio, restituisce freneticamente risposte inadeguate, rendendogli difficoltoso il percorso di riconoscimento dei propri stati interni. In questo modo il corpo diventa mediatore del rapporto con la madre, terreno simbolico su cui rappresentare i propri vissuti interni.

La difficoltà del genitore a contenere gli stati affettivi del figlio viene vissuta da quest’ultimo come un rifiuto rispetto ai propri bisogni di conforto. Questo bambino avverte il disagio del genitore di fronte all’intimità e al contatto emotivo e paradossalmente percepisce la distanza come l’unica modalità che sente efficace per ottenere la vicinanza della figura di accudimento.

Il padre di solito rappresenta una figura marginale, distante, inizialmente idealizzata ma poi, inevitabilmente fonte di delusione nell’adolescenza.

La bulimia sembra invece maggiormente compatibile con uno stile di attaccamento di tipo disorganizzato. Infatti, mentre le persone affette da anoressia sono di solito caratterizzate da un alto autocontrollo, frequentemente alla bulimia è associata la cattiva gestione degli impulsi. L’abbuffata può costituire un tentativo di gestire stati affettivi spiacevoli, scaricando le tensioni emotive attraverso un agito. Qui non avviene una repressione delle emozioni, ma c’è piuttosto una difficoltà a contenerle, che potrebbe essere dovuta a uno stile disorganizzato di attaccamento.

Le persone con uno stile disorganizzato da bambini hanno vissuto un conflitto irrisolvibile tra la tendenza a rivolgersi al genitore come fonte di rassicurazione di fronte ad uno stimolo spaventante e il fatto che è lo stesso genitore a suscitare paura. La tendenza ad avvicinarsi e quella ad allontanarsi inibiscono l’un l’altra e il bambino sperimenta emozioni che travolgono la sua capacità di organizzare un comportamento coerente. Spesso hanno imparato a considerare pericolose delle situazioni che non lo sono e positive delle situazioni pericolose.

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I bambini disorganizzati si presentano con una maggiore frequenza in campioni ad alto rischio psicosociale, con madri depresse, tossicodipendenti, abusate, maltrattanti. Queste madri hanno una prevalenza di comportamenti intrusivi, di inversione di ruolo, spaventati o spaventanti (es. tono di voce spaventato, atteggiamento intimidatorio verso il bambino, lo rimproverano durante il pianto, non calmano il bambino se è angosciato, ridono se piange o è in difficoltà, danno messaggi verbali e non verbali in contraddizione).

Questo stile di attaccamento è frequente anche in campioni a basso rischio psicosociale, ma con madri che hanno subito traumi o lutti irrisolti. Queste figure genitoriali mettono in atto comportamenti di ritiro e paura (tengono in braccio i figli mantenendoli molto scostati dal petto, mostrano di essere spaventate) che spaventano il bambino.

Nello spiegare il legame tra problemi nel processo di attaccamento e disturbi alimentari potrebbe rivestire un ruolo importante il concetto di identità corporea.

L’immagine corporea personale è una rappresentazione di sé solo parzialmente legata all’aspetto fisico oggettivo. Essa è la radice dell’identità, frutto della sedimentazione delle esperienze relazionali con le figure significative, è il risultato dell’interazione di tre dimensioni: percettiva (grado di accuratezza nella stima del proprio corpo, nella sua interezza e nelle sue singole parti), cognitivo-affettiva (sensazioni e pensieri nei confronti del proprio corpo), comportamentale (attività che la persona intraprende o evita in base a come sente il proprio corpo).

L’identità corporea si forma all’interno di relazioni precocissime con le prime figure d’attaccamento. Le esperienze negative relative alla propria dimensione corporea nella relazione con l’altro significativo possono portare a distorsioni del proprio modo di percepirsi e di percepire la realtà. Le emozioni spiacevoli suscitate da una rappresentazione mentale distorta del proprio aspetto fisico (immagine corporea alterata) possono condurre a mettere in atto comportamenti e abitudini alimentari scorrette sia nel senso restrittivo, sia nel senso della perdita di controllo. E’ quindi plausibile ipotizzare un legame tra stili insicuri di attaccamento alle figure significative dell’infanzia e eventuali alterazioni dell’immagine corporea, che più tardi, interagendo con altri fattori, possono favorire la comparsa di disturbi alimentari.

In conclusione, allo stato attuale della ricerca, non è ancora possibile trarre conclusioni definitive sul ruolo degli stili di attaccamento nello sviluppo di un disturbo alimentare in età adulta.

Dai dati clinici ed empirici, spesso incompleti e contraddittori, sembra comunque delinearsi una correlazione tra stile di attaccamento evitante e anoressia, stile di attaccamento disorganizzato e bulimia. Lo stile di attaccamento evitante è compatibile con le caratteristiche di alessitimia e perfezionismo comuni nelle anoressiche, mentre lo stile di attaccamento disorganizzato è compatibile con la difficoltà a gestire le emozioni e la tendenza all’agito delle persone affette da bulimia.

 

Articolo a cura della Dott.ssa Barbara Corte - Psicologa

 

 


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Tags: disturbi alimentari alimentazione attaccamento

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