Considerazioni Generali sulla Teoria dei Complessi (Jung,1934)
[...]Le personalità parziali hanno indubbiamente una propria coscienza; ma se frammenti psichici piccoli come i complessi siano anche capaci di una propria coscienza, è un problema ancora insoluto. Devo confessare che questo problema mi ha occupato più volte. I complessi si comportano come diavoletti di Cartesio e sembrano dilettarsi di giocare tiri da folletto. Essi pongono sulla lingua proprio la parola sbagliata, sottraggono proprio il nome della persona che si dovrebbe presentare a qualcuno, provocano l’accesso di tosse proprio nel mezzo del più bel “piano” del concerto, fanno inciampare con fracasso in una sedia il ritardatario che cercava di passare inosservato. Essi raccomandano, in occasione di un funerale, di porgere le congratulazioni anziché le condoglianze, sono i responsabili di quelle malizie che Friedrich Theodor Vischer voleva debitare agli innocenti ‘oggetti’, sono le persone che agiscono nei nostri sogni, e di fronte alle quali siamo così privi di potere; sono le creature elfiche che il folclore danese caratterizza in modo così calzante attraverso la storia del pastore che voleva insegnare il Padrenostro a due elfi. Questi non risparmiavano sforzi per ripetere esattamente le parole, ma già alla prima frase non potevano fare a meno di dire: “Padre nostro che NON sei nei cieli.”
Conformemente all’aspettativa teorica, essi si dimostrano non ammaestrabili. […] La psicologia del sogno mostra con tutta la chiarezza desiderabile che i complessi affiorano ‘personificati’, se nessuna coscienza inibitrice li reprime, proprio come il folclore descrive gli gnomi che di notte mettono a soqquadro la casa. Lo stesso fenomeno l’osserviamo in certe psicosi nelle quali i complessi diventano “sonori” e compaiono come “voci” che hanno un carattere assolutamente personale.[...] (p.113)
Jung C.G. (1934), Considerazioni generali sulla Teoria dei Complessi, tr.it. in Opere, Borringhieri,Torino,1976, vol. 8.
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