La resilienza e i concreti indizi sulle sue basi neurobiologiche
Gregory E. Miller e i suoi collaboratori in un nuovo studio di neuroimaging pubblicato sulla rivista PNAS hanno ipotizzato che la connettività della rete esecutiva centrale fronto-parietale del cervello (CEN) può offrire un contributo alla comprensione delle basi neurobiologiche della resilienza.
Vi è una notevole variabilità nel modo in cui le persone rispondono ai principali fattori di stress. Alcuni rimangono sani, mentre altri si deteriorano. Poco si sa delle reti cerebrali che sono coinvolte nel modellare questi diversi risultati.
E' quanto hanno voluto indagare Miller e i suoi collaboratori della Northwestern University.
Come evidenziato da studi precedenti, i giovani che vivono in quartieri con alti livelli di violenza hanno una salute cardiometabolica peggiore rispetto ai coetanei che abitano comunità più sicure.
Tuttavia, anche all'interno dello stesso gruppo di giovani che vivono in aree ad alta violenza, i ricercatori hanno trovato notevoli differenze nella risposta allo stress, con il 25% dei giovani esposti che ha manifestato una sintomatologia contro il 75% che ha mostrato ciò che gli psicologi chiamano "resilienza".
I ricercatori hanno cercato di chiarire le basi neurobiologiche nelle differenti risposte individuali alla violenza di quartiere e ai fattori di stress in generale utilizzando la risonanza magnetica funzionale (fRMI) ponendosi alcune domande:
“Perchè l'esposizione alla violenza di quartiere è molto più dannosa per il benessere generale di alcuni giovani rispetto ad altri? Quali reti cerebrali sono coinvolte nel modo in cui rispondiamo ai principali fattori di stress della vita?”
Innumerevoli studi hanno identificato una correlazione tra vivere in un quartiere ad alto rischio di criminalità con un aumento di cattiva salute caratterizzato da sindrome metabolica, asma e perdita di sonno.
Tuttavia, anche i bambini che crescono nella stessa casa possono avere risposte psicofisiologiche molto diverse allo stress.
Alcuni bambini sono stati denominati figli del “dente di leone”, che mostrano un'incredibile capacità di ripresa anche nelle condizioni più difficili; mentre altri sono più simili ai bambini “orchidee”, che sono più vulnerabili agli ambienti difficili.
Per questo studio, i ricercatori hanno reclutato 218 studenti pre-adolescenti provenienti da diversi quartieri intorno a Chicago.
Ogni quartiere è stato valutato in base al crimine violento e ai tassi di omicidio. Ai partecipanti allo studio è stata assegnata una valutazione cardio-metabolica che include test per la resistenza all'insulina, obesità e sindrome metabolica complessiva.
Pertanto, i partecipanti hanno ricevuto una scansione di neuroimaging con fMRI per valutare la connettività funzionale del cervello.
Sebbene gli studenti che vivono in quartieri violenti tendono ad avere una salute metabolica peggiore, coloro che vivevano in quartieri criminali e mantenevano sani biomarcatori per lo stress, mostravano anche una maggiore connettività all'interno della rete esecutiva centrale (Central Executive Network, CEN) del cervello.
Secondo i ricercatori, il CEN è un centro cerebrale che facilita il modo in cui interpretiamo gli eventi minacciosi, esercitiamo l'autocontrollo e sopprimiamo le immagini emozionali indesiderate.
Sulla base di questi risultati, sembra che la connettività dello stato di riposo all'interno della rete esecutiva centrale possa essere un moderatore adattivo che aumenta la resilienza a livello neurobiologico.
Come spiegano gli autori, “attraverso sei risultati distinti, un quartiere con tasso di omicidio più elevato era associato ad un maggior rischio cardiometabolico, ma questa relazione era evidente solo tra i giovani che mostravano una connettività a riposo nella rete esecutiva centrale in stato di riposo. Questo risultato evidenzia la connettività intrinseca del CEN come un potenziale contributo neurobiologico alla resilienza”.
I ricercatori sottolineano come questo studio presenti ovviamente alcune limitazioni. Questi risultati sono infatti correlati ma non implicano necessariamente un nesso causale.
Pertanto, gli autori incoraggiano fortemente uno studio longitudinale e multi-onda molto più ampio per stabilire la causalità tra connettività funzionale CEN, violenza di vicinato, salute cardiometabolica e neurobiologia della resilienza.
Detto questo, i ricercatori sperano che nel prossimo futuro queste scoperte possano portare a programmi di “network training” progettati per migliorare la connettività funzionale della rete CEN del cervello.
Miller ed i suoi colleghi ipotizzano che questi tipi di interventi potrebbero migliorare “l'autocontrollo, la rivalutazione delle minacce e la soppressione del pensiero” in modi che potrebbero rendere gli adolescenti a rischio più resilienti".
di Lucia Cialone
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Tags: stress neuroimaging resilienza